Elsa Fornero - Ministro del Lavoro |
A differenza della rivoluzione, la politica riformista interpella la ragione piuttosto che il cuore. Essa « è difficile- scriveva Michele Salvati anni fa sul “Corriere” - impegna in ragionamenti che tirano in ballo compatibilità e incompatibilità, effetti non voluti o perversi. Esige conoscenze e specializzazione. Richiede di pensare in termini di sistema, economico, internazionale o altro: questo non si può fare perché altrimenti..; quest' altro, poco, si può fare, ma occorre cautela. Anche il riformismo più coraggioso potrà sempre essere accusato di moderatismo o di sconfinamento nel campo avversario. E questo fa sì che “vendere” un riformismo serio, sia agli elettori, sia agli intellettuali, non sia per nulla facile».
È insomma una politica difficile quella riformista e spesso può sembrare un esercizio mentale freddo, pensato dall’ alto e calato verso i destinatari che necessariamente dovranno alcuni perderci e altri guadagnarci (è la politica bellezza). Non la faccio lunga, ma chi la vuole davvero lunga potrà leggere, se mai gli capiterà a tiro, quell’enorme e informatissima opera che è “Settecento riformatore” del grande Franco Venturi. Ricordo en passant che il Settecento è stata l’epoca di riformismo più intensa che l’Europa abbia mai avuto, e che il fallimento di quelle Riforme (ma non tutte, si pensi al Catasto di Maria Teresa proprio in Lombardia) portò tragicamente alle rivoluzioni.
Le Riforme sono “tentativi ed errori”, ossia sono esperimenti "in corpore vili" nella società al fine di sanare alcune storture o favorire alcuni processi che possano recare il massimo dei benefici a un maggior numero di persone. Ma come tutti gli esperimenti perfettibili devono in qualche modo, se sono buone riforme e se sono pensate da vere teste pensanti, saper cogliere e sanare un aspetto della società in cui intervengono con il minor numero di errori, i quali come è fatale possono essere peggiori dei mali che intendono curare.
Facciamo un esempio concretissimo di questi giorni. Il Ministro Fornero ha stilato e reso esecutiva un’ampia riforma del lavoro in cui tra l’altro è previsto che i contratti a tempo determinato non possono essere rinnovati se non dopo il trascorrere di 90 giorni. Qual era l’intento della riforma? Scoraggiare i datori di lavoro dal somministrare contratti troppo ballerini e indurli ad assumere stabilmente i lavoratori a tempo determinato. Il risultato di questi giorni di primissimo impatto della riforma è che i datori di lavoro non convertono i contratti da tempo determinato a tempo indeterminato e che i giovani si trovano non più per i sopportabili venti giorni – previsti dalla previgente normativa - a spasso, ma per tre mesi buoni con tutte le conseguenze del caso: i mutui che bisogna continuare a pagare e l’angoscia di ritrovarsi a casa a ciondolare visto che non viviamo in un Paese dove con uno schiocco di dita si trova un lavoro temporaneo per tre mesi. Da ciò si deduce che la riforma, per questo specifico aspetto, era campata in aria, che il Ministro non conosce molto bene il Paese su cui interviene con i suoi decreti, che la pezza è stata peggiore del buco, che riforme così “pensate” sono le peggiori nemiche del riformismo, nostro permanente scenario mentale.
In realtà non li rinnovavano nemmeno prima. Attendevano che il periodo della presunzione legislativa scadesse (ora tale periodo è molto più lungo). Inoltre, il comma 1 bis aggiunto alla legge 368/2001 da parte della legge 92/2012 (l'editto di Fornero) prevede che possa sussistere l'ipotesi che non vengano richieste precise motivazioni di carattere organizzativo, sostitutivo, ecc. per la stipulazione di un contratto a termine.
RispondiEliminaIn realtà il Ministro tecnocrate ha puntato sul suo caro ASPI nella speranza di rendere il sistema degli ammortizzatori sociali più universalistico, ma per quanto riguarda le imprese le ha favorite cercando di rendere ancora più incentivante l'apprendistato cambiandone le proporzioni rispetto ai lavoratori dipendenti (vedi sostituzione del comma 3 dell'articolo 2 da parte dell'editto Fornero nei confronti della legge 167 del 2011).
Ti ringrazio per le tue precisazioni. La mia riflessione nasceva da informative familiari, da parte di chi, dopo aver ottenuto un contratto finalmente a tempo indeterminato, mi raccontava di suoi amici angosciati per il periodo di "vuoto" dei tre mesi. La prassi della loro azienda era il rinnovo ciclico del contratto a tempo determinato (non più di 4 volte) dopo appena 20 gg di vuoto, adesso la prospettiva dei tre mesi li ha sconvolti. Ancora grazie.
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