Scrivere un commento sul voto di Domenica 4 Dicembre non è cosa semplice. Non lo è soprattutto perché le sconfitte bruciano. E quando perdi una battaglia per la quale ti sei speso per mesi (8 mesi per l'esattezza) convinto delle tue ragioni, diventa ancora più difficile trovare una spiegazione al perché una fetta cosi maggioritaria del popolo italiano ha scelto di non seguirti.
E, per fare una analisi lucida, non possiamo che partire da un dato certo. Il Si perde soprattutto tra i giovani, tra chi occupa uno stato sociale mediamente basso e al Sud. Al contrario, il Si si afferma nel ceto medio-alto e tra la popolazione "anziana". Questo dato tra l'altro conferma quanto visto qualche mese fa al turno amministrativo. È un fatto questo preoccupante e che merita molta attenzione. Lo avevo detto dopo il voto amministrativo di qualche mese fa e lo ripeto qui oggi: prendere atto di una sconfitta non basta. E se la reazione che si ha dopo una sconfitta è "non abbiamo paura di nessuno, noi andiamo avanti" oppure "ci basta quel 40%" a giustificare una batosta (la seconda in pochi mesi) probabilmente prevale ancora quel sentimento di chi pensa di essere nel giusto senza se e senza ma che fa male al Pd e fa male soprattutto al Paese.
Quando si perde una battaglia di solito si fa autocritica e si prova a capire il perché si è perso quella battaglia. E allora domandiamocelo, almeno proviamoci. Perché abbiamo perso il Referendum? Perché perdiamo pesantemente tra i giovani? Perché perdiamo tra i meno abbienti? Perché perdiamo al sud (e anche al nord, con percentuali meno bulgare, ma pur sempre di sconfitta si tratta)? Be, le ragioni sono molteplici. In una bella e veloce analisi Michele Serra sulla sua "Amaca" di qualche giorno fa a questa domanda rispondeva in questo modo: il fronte del no ha vinto tra due pezzi rappresentativi di società. Il primo è quello di chi non ha capito nulla di questa Riforma è che ha votato no solo per dare un segnale a Renzi e al suo Governo (riuscendo nell'intento tra l'altro, visto che Renzi e il Governo sono dimissionari); il secondo è quello di chi era convinto delle ragioni del no e che ha votato per difendere la Costituzione. Questi due macro spezzoni di no inconciliabili tra loro e non in grado agli effetti di provare a dare una alternativa sono accompagnati, a mio giudizio, da un altro significativo pezzo di elettorato, quello che il Pd si è perso per strada.
Nel 2014 (due anni fa) il Pd di Renzi alle europee ha raccolto il 40% di voti. Oggi, il Pd di Renzi perde molto di quell'elettorato, guadagnandone altro, di diversa estrazione. Parte di quell'elettorato (lo dicono gli analisti del voto) sono o meglio erano parte integrante del Pd, sono quel 23% di elettori o iscritti al Pd che hanno votato no al referendum perché faticano a riconoscersi in questo Pd. E credetemi, io ne conosco parecchi di questi ultimi. Se è vero che abbiamo fatto un lavoro eccellente sopratutto a Cassina de Pecchi, contenendo la sconfitta (solo 362 voti ci hanno separato dal no) e aggregando intorno a noi nuovi amici mai visti prima, è altrettanto vero che sarebbe il caso di fermarsi un po più del dovuto e ragionare in termini non di accelerazione verso l'ignoto ma di aggregazione e unità, del Partito innanzitutto, ma anche del centrosinistra, del campo progressista che si è disciolto subito dopo le elezioni politiche del 2013. Adesso e non quando sarà troppo tardi.
Un Partito non è il salotto di casa tua. Un Partito non si strattona, non si usa e non si porta dietro a forza in barba a chi ti dice che forse stai sbagliando qualcosa. Un Partito si governa e lo si fa con lo scopo di tenere dentro tutti, anche chi la pensa diversamente dal leader di turno.
Di solito funziona cosi: chi perde ha sempre torto. Ma di fronte a una sconfitta così pesante, così inaspettata, così dolorosa (perché a perdere non è tanto Renzi ma l'Italia che si è giocata un'opportunità più unica che rara) non possiamo stare fermi e aspettare impassibili gli eventi. Ricominciamo da quel 40% di elettori che ha dato fiducia al Sì e insieme a quelli rimettiamo insieme i cocci persi per strada in questi anni.
Ritroviamo un po più di umiltà, lavoriamo per ricucire il Paese, il Partito e un ambito di centrosinistra e soprattutto ripartiamo da qui, da questo debug elettorale, che ci possa servire ancora una volta da lezione.
Ritroviamo un po più di umiltà, lavoriamo per ricucire il Paese, il Partito e un ambito di centrosinistra e soprattutto ripartiamo da qui, da questo debug elettorale, che ci possa servire ancora una volta da lezione.
Si vince uniti. Si perde divisi. Ce lo insegna la Storia.
Il mio parere è un po' diverso. ha vinto il No perchè una variegata maggioranza conservatrice ha detto No alla riforma costituzionale e No al governo Renzi per quel che ha fatto e per quel che avrebbe potuto fare per innescare una marcia in più ad un paese depresso. In tutti i paesi democratici del mondo avviene che si alternino 'progressisti' e 'conservatori'. Il problema è che da noi la conservazione ha molteplici facce tanto da non riuscire a stare insieme. C'è la destra tradizionale, la neodestra leghista, il partito di Berlusconi, e fin qui ci siamo, si aggiungono poi due malattie tipicamente nazionali, come il populismo finto democratico di Grillo&Casaleggio associati, e la sinistrasinistra protestataria e inconcludente come la minoranza dem che più colpi assesta al proprio partito più gode. E' vero che sul fondo c'è la questione sociale (giovani disoccupati e precari, lavoratori dai bassi stipendi e medidione in affanno), e che anche questa ha avuto il suo peso, tuttavia qualcuno dica chiaramente, conti alla mano però e non fantasticherie, che cosa avrebbe potuto fare di più il governo Renzi in questa direzione. A meno che non si pensi che sia possibile in Italia un'economia pianificata, il governo può rendere misure che favoriscano lo sviluppo economico e una redistribuzione più equa dei redditi. Poi ci sono gli imprenditori, che devono avere più coraggio nell'investire e nell'innovare, sindacati che sappiano entrare nel merito delle questioni economiche e non sempre pronti adire No, e una finanza meno avventuriera e più vicina al mondo della produzione. Aggiungo il macigno del debito pubblico sempre pronto a cederci addosso in una situazione simil Argentina, cosa a cui mirano senza se e senza ma i grillini all'insegna del tanto peggio tanto meglio. Per quanto riguarda il Pd più che 'unità' servono coerenza e affidabilità, nella massima chiarezza. Qualità che sembrano estranee a quel pezzo di partito che si è espresso con Gotor e Speranza contro l'ipotesi Gentiloni a futuro capo del governo con la motivazione che 'è troppo vicino a Renzi'. Come si fa a stare insieme a ggente di tal fatta?
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