Le
analisi del voto referendario, cioè delle ragioni per il quale il Sì
è uscito sconfitto e il No vittorioso, sono tante e talmente
variegate e distanti l’una dall’altra che l’unico fattore
comune è la conclusione – lapalissiana – che il No ha vinto
perché No ha votato la maggioranza degli elettori. Bella scoperta,
si dirà! Per me è l’unica conclusione seria e centrata. In
democrazia non vince chi ha ragione, vince chi ha i numeri per
affermarsi. E ha il dovere, a quel punto, di farsi governo. La
discussione sul fatto che il voto sia stato un proclama contro il
governo Renzi più che un giudizio di merito sulla riforma
costituzionale, è – in questo momento – assolutamente
ininfluente. Ma le cose, come sempre nel nostro paese, non sono così
semplici. Si dà che il fronte del No sia composto non da un partito
o da uno schieramento compatto, ma da una congerie di partiti,
movimenti, associazioni e sindacati, uniti solo dal No a Renzi e
disuniti da tutto il resto. A complicare la situazione si aggiunga la
legge elettorale, che al momento prevede sistemi elettorali diversi
per Camera e Senato, e che produrrebbe maggioranze diverse, così che
la situazione diventi ingovernabile. Un bel grattacapo per il
Presidente Mattarella e per il Parlamento tutto. Ma, si dirà, è il
popolo che l’ha voluto, per l’appunto il popolo ha votato a
maggioranza per la caduta di Renzi ma non per un nuovo governo o un
nuovo programma. Da qui la disordinata corsa ad appropriarsi della
vittoria, ognuno per propri calcoli, dalla destra di Salvini che
vuole andare ad elezioni subito, succeda quel che succeda che non c’è
limite al peggio, a Grillo che vorrebbe far cuocere a fuoco lento il
governo in carica e il Pd per poi passare all’incasso fra qualche
mese, fino alla sinistra che più sinistra non c’è – la
minoranza dem, la Cgil, l’Anpi, l’Arci, Sel e Rifondazione, e mi
scusino gli altri dell’allegra compagnia se non li cito – tentati
di fondare il nuovo, anzi il vecchio, partito della sinistra
protestataria e piagnona, nella sostanza conservatrice. Poiché siamo
in democrazia, ognuno può fare liberamente tutte le pensate che più
lo soddisfano, se dovessi decidere per il Pd rivendicherei con
orgoglio il lavoro fatto in 1000 giorni di governo e terrei la barra
diritta verso un governo di responsabilità nazionale di breve durata
e verso elezioni nell’arco di qualche mese. Di mezzo ci sarebbe il
congresso, nel quale chiarire finalmente che cosa vuol dire stare nel
Pd; da semplice iscritto dico solo che personaggi che fin dal primo
momento hanno remato contro Renzi e la maggioranza del partito - del
tipo di Bersani e Dalema, e loro sodali –, spesso con argomenti
pretestuosi e volgari, non sono miei compagni di percorso.
Marino Contardo
Nessun commento:
Posta un commento
Questo blog non è moderato. Si raccomanda perciò un'adozione civile di modi e di toni.