Nonostante
l’ironia di Andrea Parma (mi auguro involontaria), che nel
precedente Diario di Bordo introduceva il mio intervento con ‘ancora
l'immancabile Marino Contardo che vuole farci sapere la sua
anche questa settimana’,
ritorno su una questione troppo snobbata anche dalle nostre parti,
quasi fosse una boutade di propaganda. Parlo dei dati
sull’occupazione, che sono stati diffusi dalla stampa in modo
piuttosto confuso, quando invece richiedono una seria riflessione.
Ebbene, l’Inps – che è l’istituto più titolato a farlo perché
più attendibile e aggiornato – ha fornito questi numeri: da
gennaio 2015 (introduzione del Jobs Act) a dicembre 2016 si è avuta
una variazione netta sul totale dei rapport di lavoro subordinato
positiva per 968 mila unità (+ 628 mila nel 2015, + 340 mila nel
2016). Nel biennio precedente i saldi sono stati sempre negativi, -
101.000 nel 2013, - 34.000 del 2014.
Considerando poi solo i
contratti a tempo indeterminato il saldo positivo è stato di circa
un milione di nuovi contratti (ricordate la barzelletta del milione
di posti di lavoro ai tempi di Berlusconi, ebbene questa è diventata
realtà nei 1000 giorni del governo Renzi). Sul fronte dei voucher –
istituto che risale al 2013 – si registra una contrazione nell’uso,
probabilmente sotto l’effetto della maggiore tracciabilità
introdotta dal Jobs Act, ed è allo studio un provvedimento di legge
che ne limiti drasticamente l’utilizzo improprio. Anche il Prodotto
Interno Lordo è in leggera crescita ( +1,0 % nel 2016 rispetto al
-2% all’inizio del governo Renzi), di segno decisamente positivo il
commercio con l’estero.
Siamo
invece in ritardo rispetto ai tasso di crescita dei grandi paesi
europei, la disoccupazione giovanile è insopportabilmente inchiodata
al 40%, aumenta l’area della povertà sia relativa che assoluta, e
ogni giorno assistiamo alla chiusura di importanti aziende, spesso
per trasferimenti di attività in paesi a minor costo della
manodopera.
Luci
ed ombre quindi, ma nessuna catastrofe, come amano dipingere la
situazione i fieri oppositori del governo in carica, nessuna
situazione simil Grecia, come si profilava alla fine dell’avventuroso
governo Berlusconi nel 2011. Segnali positivi invece, che danno conto
di un paese che non si arrende, non si arrende alla burocrazia,
all’alto livello delle tasse, alla politica dei dilettanti e dei
demagoghi, che lotta ogni giorno contro inefficienze, sprechi e
ruberie, e non soltanto nelle pubbliche amministrazioni. Ma ancora
arranca, e arranca non solo per la solita vituperata ‘politica’,
ma per una classe imprenditoriale spesso poco coraggiosa, che non
investe nella propria azienda ma in attività finanziarie, un
sindacato corporativo che vive dimensioni d’altri empi,
professionisti e commerciati che non sanno uscire dal proprio
‘particolare’, categorie come farmacisti, notai o tassisti,
irremovibili nel non voler guardare avanti, e più in generale per un
costume nazionale in cui il senso civico viene spesso sacrificato al
portafoglio, alla famiglia, se non alla personale cupidigia.
E
il Partito Democratico in tutto questo che fa? Ha la pretesa di
interpretare la parte più attiva e più sensibile del nostro popolo,
in termini di cultura, innovazione, socialità, e di trascinare tutto
il resto per un’Italia migliore, un’Europa migliore, un mondo
migliore. Retorica? Forse. Ma ricordiamo come il nostro paese sia
stato per decenni un modello per tanta parte del mondo, dalla
liberazione dal fascismo alla ricostruzione postbellica al boom degli
anni ’60. Dopo le macerie morali e materiali di questi ultimi
decenni occorre ritrovare l’entusiasmo e la volontà per ripartire.
E noi dobbiamo essere protagonisti di questo processo. Di questo
dovrà trattare il prossimo congresso. Il resto è solo noia, come
diceva una nota canzone di qualche anno orsono.
Marino Contardo
Marino Contardo
Marino, nessuna ironia. Sottolineavo come i tuoi commenti siano una presenza fissa nelle nostre comunicazioni. E il che è positivo.
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