Tutte le volte che usciva con un gruppetto di compagne, o semplicemente faceva il tragitto per la scuola con loro, cancellava dalla propria immagine qualche tratto fra i pochi che vedeva positivi: magari le ragazze camminavano insieme quando, in modo inatteso, ridendo, il gruppetto scattava verso il bus mentre lei rimaneva a terra, sentendosi un rifiuto solido urbano.
O forse era il contrario. Sì, perché ogni volta che perdeva qualche mattoncino dell’immagine di sé, proprio lei si cacciava in situazioni che drammaticamente confermavano la perdita. Negli ultimi tempi, quando in solitudine volteggiava senza rete su internet, non poteva fare a meno di cliccare su quel dannato social-trappola dove ti facevano domande anonime mentre l’autore delle risposte era riconoscibile: dopo per te era finita, diventavi un bersaglio, una vittima.
Camminava
sola, veloce, posseduta dalla nuova emozione di aver preso una decisione difficile,
di aver fatto una scelta. M. si stava recando alla sede dell’Osservatorio della Martesana per la
Comunicazione dove monitoravano il rapporto media-social-scuola-giovani. Vi
si poteva anche trovare uno sportello
con una giovane psicologa disposta ad ascoltarti senza fretta, senza giudicare,
facendoti sentire già un po’ meglio: ti accettava semplicemente come persona, in
modo incondizionato……
Questa però è un’altra
storia, con un altro finale; una storia dove M. ha trovato a chi rivolgersi per
chiedere aiuto per il disagio che stava diventando disperazione.
A
Cittadella, in provincia di Padova, invece, N. è stata sopraffatta e
annientata, le violenze verbali sul web l’hanno trovata indifesa e non ne è
uscita viva. Aveva 14 anni. La notizia è cronaca di ieri.
Non
è la prima volta: la comunicazione massmediatica sui giovani offre spazio nelle cronache a
episodi di bullismo, incidenti stradali, spaccio e consumo di droghe, reati di
violenza sessuale, furto, percosse filmate e rese pubbliche come fossero
bravate, oltraggi omofobi, situazioni dalle quali non sempre le giovanissime
vittime sono uscite vive. Tutti leggono e vedono queste storie: genitori e ragazzi devono pensare che i giovani sono quelli? Storie di giovani legate a sport, politica, chiesa, ambiente, mondo del lavoro, volontariato difficilmente fanno notizia. Forme di aggregazione giovanile dove si fa musica, si scrive, si fa teatro, si produce, si gestiscono fonti informative, hanno scarsa visibilità. Ne esce una visione deformata che crea ansie eccessive nei genitori e diffidenza nei ragazzi verso le istituzioni, la scuola in primo luogo.
La tragedia, come quella di Cittadella, fa notizia, ma come tutte le notizie, viene macinata in fretta e poi tutto torna come prima. Altre storie di drammi interiori vengono consumate in solitudine.
Lo scenario ha la normalità delle cassette di fiori alle finestre, vi regna un certo benessere, ma non c’è più o non c’è mai stato un consultorio aperto ai giovani.
Il rifiuto e l’emarginazione conosce solo l’isolamento e lo sguardo distratto e inconsapevole di adulti che chiamano “ragazzate” e “bravate” atti di violenza sulla persona.
L’adolescenza, ce lo dimentichiamo quasi tutti, è un’età fragile, un periodo in cui il giudizio degli altri, adulti e coetanei, ha un peso decisivo per i nostri destini personali. Nelle parole dell’altro il ragazzo sperimenta come e quanto viene percepito e valutato e vi proietta sé stesso.
Nel nostro Comune, dunque, raccontiamo un’altra storia, una storia che abbia un futuro per i giovani a partire da iniziative di aggregazione, di ascolto (come sportelli e consultori), canali comunicativi (come progetti con la scuola) che si aggiornino sulle nuove realtà e facciano sperimentare esperienze di partecipazione e di comunità.
13 febbraio, Franca Marchesi
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