Da Gaza giungono notizie terrificanti di centinai di morti tra la
popolazione civile. Il conflitto che s’è riaperto tra i palestinesi di Gaza e
Israele pare scoraggiare ogni ulteriore tentativo di fermare il conflitto dopo
le illusioni maturate negli ultimi decenni e puntualmente disattese dalle
parti. Che due paesi e due popoli possano convivere in pace in quella parte di
mondo sembra molto improbabile per un lungo lasso di tempo. Che fare dunque
ora, almeno per ridurre il danno, se la pace è lontana? Operare nelle sedi
internazionali affinché le parti
pratichino un cessate il fuoco e che questi diventi duraturo almeno fino
ad una tregua garantita da soggetti terzi; evitare di partecipare al ‘conflitto
mediatico’ prendendo parte per l’uno o per l’altro ( il che non vuol dire
rinunciare a qualsiasi opinione circa il maggiore o minore grado di
responsabilità, ma evitare ogni ostentazione di partigianeria che potrebbe
danneggiare il necessario clima di distensione in vista di un dialogo);
disinnescare ogni focolaio di antisemitismo, una belva poi difficile da domare,
e d’altra parte rigettare ogni forma di equiparazione tra palestinese e
terrorista. Le distinzioni sono fondamentali in un contesto così complicato. Ma
potrebbe anche non bastare per far deporre le armi. Israele oggi è governato da
gente perennemente con il dito sul grilletto e che si sente legittimata da
regolari e libere elezioni; su Gaza impera un’organizzazione di estremisti
islamici che governa con il pugno di ferro e la cui missione – che l’intera
popolazione è costretta a sobbarcarsi – è l’eliminazione di Israele. Convincere
i pistoleri a desistere e Hamas ad abbandonare assurde pretese, non sarà
facile, ma non si vedono altre strade per evitare un bagno di sangue ancor più
terribile di quelli visti fin’ora da quelle parti ( la cupa contabilità dei
morti a partire dall’invasione sovietica dell’Afghanistan fino alla Siria di oggi
sfiora già la decina di milioni, per non parlare poi dei feriti, dei mutilati,
e delle distruzioni immani provocate da quell’intreccio perverso di ragioni
economiche, di potere, di etnia e di religione). Il guaio per noi è che a quel punto
saremo chiamati di necessità a schierarci, e a farci carico di tensioni che non
siamo più in grado di controllare, in un occidente che ha visto la morte delle ideologie
e delle religioni - che davano risposte illusorie ma funzionali per una determinata
epoca -, e che ancora non ha trovato una bussola (un nuovo umanesimo?) per orientarsi.
E' necessario però che qualcuno: uno dei due, "deponga" la prima pietra.
RispondiEliminaChi lo farà mai?