sabato 15 giugno 2013

Ancora D'Alema?

Massimo D'Alema a sostegno del Sindaco di Pioltello Antonello Concas in un comizio elettorale del  2 maggio 2011
Non ho mai condiviso l'astio nei confronti di D'Alema. Tutt'altro. Ha avuto invero qualche torto il Nostro: essere intelligente, freddo e consequenziale ed essere stato il primo uomo politico di sinistra di provenienza non socialista a governare. Ha assommato in sé due tipi di odi; quello della destra che in fondo lo teme e quello della sinistra immaginaria che preferisce sempre le sconfitte per rilanciare la propria identità. Il fatto che continui a fare politica è visto sempre con insofferenza da queste platee. Ci si rassegni: D'Alema è totus politicus. E in quanto politico ha un solo legittimo scopo: pervenire al potere perché per un politico il potere è l'unico strumento per mettere in atto i propri progetti, come per un cuoco è cucinare, per un prete dire la messa e annunciare il vangelo, per un pompiere salire sulle scale e salvare le vecchiette.

 Finché avrà vita lui farà questo: politica. E questa va giudicata, non le sue presunte intenzioni; occorre insomma caso per caso valutare se le sue proposte sono campate in aria o hanno un portato di razionalità. In quest'ultima sua iniziativa  - quella di mediare tra renziani e bersaniani - qualcuno mi deve dire se non è necessaria un'azione politica di questo tipo che salvi il principio di una leadership visibile (a me non piace Renzi, ma questo c'è) e quella di un partito solido. D'Alema ha affrontato questa fase anche dopo un periodo di insulti ed emarginazione personale, andando lui a Palazzo Vecchio, e tessendo la sua tela... Avercene di politici così!

1 commento:

  1. D’Alema è il più abile, scaltro e intelligente dirigente di partito dai tempi del PDS poi DS ora PD. Peccato che venga dalla scuola della doppiezza togliattiana, quella che teneva insieme democrazia e stalinismo, mangiapreti e Vaticano, mercato e pianificazione, ortodossia e innovazione, opposizione e consociativismo, una mescola piuttosto singolare che per un po’ ha funzionato nel tenere insieme ‘le masse’ ma poi ha mostrato la corda quando il nostro paese avrebbe dovuto fare il salto di qualità per inserirsi nel novero dei paesi cosiddetti ‘civili’ (le occasioni perdute anche per la miopia dell’allora PCI davanti alle prime esperienze di centro-sinistra in Italia). Riproporre ora un approccio di quel tipo, nei contenuti ma anche nel linguaggio e nello stile che segna i modi di pensiero di D’Alema e dei suoi amici, è non solo irreale ma pericoloso. Oggi è necessario, se si vuol innescare il cambiamento e uscire dall'arretratezza cui sembra condannato il nostro paese –ma non è detto che sia obbligatorio-, parlare il linguaggio della verità, della schiettezza, della concisione, del coraggio, della trasparenza. Che è quello di Renzi, di Barca, di Puppato, di Civati, di Marino, di Serracchiani, e di altri pur con diverse declinazioni, cui va fatto largo senza furbizie o contorsioni dialettiche, quali stiamo sopportando per l’ennesima volta in vista del congresso del PD.

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