Volevo
scrivere un articolo sulla donna, ma ho letto questo
bellissimo commento di Geppi Cucciari, che sottoscrivo al 100%, sul
sito 27ora del "Corriere" (un blog al femminile).
È il commento che sento fare sempre più spesso da molte donne in quanto,
come la maggior parte delle feste, anche questa è stata
commercializzata.
Se
ricordiamo che nacque per commemorare la morte di alcune donne
lavoratrici avvenuta nel secolo scorso, troverei più giusto
definirla IL GIORNO DELLA DONNA.
Grazie
ciao
BUON
9 MARZO A TUTTE (E A TUTTI)
Buon
9 marzo a tutti, giorno sottovalutato che segue l’8 Marzo: la festa dei fiorai,
dei venditori di cioccolatini e sì, in fondo, un po’, anche delle donne. E non
stupisca la celebrazione tardiva. Non è un caso. È che in Italia, quando si
parla di questa metà del cielo, quella più variabile ma anche, spesso, più
nitida e affascinante, tutto arriva un giro dopo.
Com’è
andata, uomini? L’avete rivolto un pensiero alle donne vere? O l’unica sinapsi
era occupata dalla paura che le mimose del pachistano al semaforo fossero
stantie? Com’è andata, donne? Avete ceduto alle lusinghe della cena con le colleghe,
del conto alla romana, dello strip alla californiana? Come avete mostrato il
vostro orgoglio uterino? Abbeverandovi di sapere gratuito in un museo, oppure
di mojito pagato in un capannone di periferia, magari infilando monete da due
euro nella canottiera di uomini dall’incarnato caramellato e muniti di
sopracciglia depilate ad ali di gabbiano?
Quale
che sia stata la vostra scelta di ieri, ilare o cupa, convinta o svogliata,
conformista come un mazzetto giallo o eversiva come un’opera d’arte sottovalutata,
spero che abbiate festeggiato l’evento rimanendo tra i confini patri.
Italianità, ecco cosa ci serve. L’otto Marzo, ma anche il 7 o l’11.
Per
dire: cos’ha la Spagna più di noi? A parte Messi, intendo. Di sicuro una legge
sulla procreazione assistita degna di questo nome, ad esempio. Che non si mette
a contare gli ovuli come fossero «gratta e vinci» e permette persino la
fecondazione eterologa. Forse ho sbagliato esempio, ma un viaggetto,
Barcellona, lo vale comunque. Bocadillo, sangria e fiocco azzurro. O rosa, se
sperate che sia femmina e volete chiamarla come vostra madre.
Riproviamo:
cos’ha la Svezia più di noi? Una legge sulla maternità degna di questo nome,
giusto per non scomodare solo gli Abba. E infatti il tasso di disoccupazione
femminile è più basso di quello maschile e il papà ha l’obbligo (sì, l’obbligo)
di prendersi il congedo di paternità. E anche la differenza tra salari maschili
e femminili è tra le più basse al mondo. Forse per quello le donne sono più
fertili e a Barcellona ci vanno solo a vedere la Sagrada Familia.
E
allora forse sì: anche Stoccolma un volo lo vale. Al massimo dovrete abituarvi
alle temperature subpolari, ma per tenervi al caldo basteranno una libreria
Expedit da montare sacramentando (nel caso potete andare a casa del fondatore
dell’Ikea, il signor Ingvar Kamprad in persona e incastrare la brugola avanzata
nel tasto del suo citofono, vendicando così migliaia di famiglie italiane e non
solo), un libro del celebre ispettore Kurt Wallander (anche bruciandolo, nel
caso, se da quando il nostro eroe si è sposato con una parrucchiera di nome
Mona vi ha delusi) o, ma proprio come extrema ratio, rotolandovi con vostro
marito.
Non
avete nessun debole per la movida spagnola o per la tundra lappone? Allora
provate con la Romania. Cosa ci sarà mai a Bucarest che non si trovi a Roma, la
città più bella del mondo? Una legge sul divorzio degna di questo nome, per
dire. Mettiamo che il marito ti scaldi, certo, ma meno di una volta. Mettiamo
che tu voglia cambiare elettrodomestico e che il medesimo sia d’accordo. In
Italia per divorziare servono il pil del Belgio, avvocati acrobatici e
soprattutto anni di attesa, che a una certa età valgono sette volte tanto, come
gli anni dei cani.
Nella
terra dei Carpazi è tutto un po’ più semplice, e infatti il viaggetto
riparatore lo fanno in molti. Vivono due mesi da quelle parti, si sparano una
pista blu in Transilvania, realizzano che la Valacchia esiste davvero e mettono
i piedi nel Mar Nero che è sempre meno nero di certi tratti dell’Adriatico.
Però,
ecco, però: forse davvero sarebbe il caso di farlo qui, il giretto panoramico.
Varrebbe la pena di non essere più turiste e turisti dei diritti e trasformare
la mobilità per rassegnazione in stanzialità combattiva. Ieri di sicuro tra i
capoccioni di mimose-muniti, ce n’erano un bel po’ che prima di regalare il
mazzetto alle dipendenti le avevano costrette a firmare le dimissioni in
bianco.
Per
non rovinare la festa e per buona creanza, forse non era il caso di prenderli a
ginocchiate nell’orgoglio proprio l’8 Marzo. Ma oggi è il giorno dopo. E
allora: buon nove marzo a tutte. E a tutti. Con la tenue speranza che arrivi un
giorno in cui nascere donna sia un’opportunità e non una condanna, in cui basti
essere femmina e non serva combattere come una femminista d’altri tempi. E
magari quel giorno i fiori abbinati alla nostra celebrazione non sapranno più
di moquette bagnata, ma avranno un profumo inebriante, come solo noi sappiamo
essere.
Antonietta, l'avevo letto anch'io, ed è davvero un bel pezzo. Intelligente, brioso, "pensoso", nonostante la leggerezza, straordinariamente femminile, ma non astioso verso i maschi. E' un pezzo straordinario!
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