venerdì 9 marzo 2012

Buon 9 Marzo a tutti e a tutte


Volevo scrivere un articolo sulla donna, ma ho letto questo bellissimo commento di Geppi Cucciari, che sottoscrivo al 100%, sul sito 27ora del "Corriere" (un blog al femminile).
È il commento che sento fare sempre più spesso da molte donne in quanto, come la maggior parte delle feste, anche questa è stata commercializzata. 
Se ricordiamo che nacque per commemorare la morte di  alcune donne lavoratrici avvenuta nel  secolo scorso, troverei più giusto definirla  IL GIORNO DELLA DONNA.

Grazie
ciao
Antonietta

BUON 9 MARZO A TUTTE (E A TUTTI)
Buon 9 marzo a tutti, giorno sottovalutato che segue l’8 Marzo: la festa dei fiorai, dei venditori di cioccolatini e sì, in fondo, un po’, anche delle donne. E non stupisca la celebrazione tardiva. Non è un caso. È che in Italia, quando si parla di questa metà del cielo, quella più variabile ma anche, spesso, più nitida e affascinante, tutto arriva un giro dopo.
Com’è andata, uomini? L’avete rivolto un pensiero alle donne vere? O l’unica sinapsi era occupata dalla paura che le mimose del pachistano al semaforo fossero stantie? Com’è andata, donne? Avete ceduto alle lusinghe della cena con le colleghe, del conto alla romana, dello strip alla californiana? Come avete mostrato il vostro orgoglio uterino? Abbeverandovi di sapere gratuito in un museo, oppure di mojito pagato in un capannone di periferia, magari infilando monete da due euro nella canottiera di uomini dall’incarnato caramellato e muniti di sopracciglia depilate ad ali di gabbiano?
Quale che sia stata la vostra scelta di ieri, ilare o cupa, convinta o svogliata, conformista come un mazzetto giallo o eversiva come un’opera d’arte sottovalutata, spero che abbiate festeggiato l’evento rimanendo tra i confini patri. Italianità, ecco cosa ci serve. L’otto Marzo, ma anche il 7 o l’11.
Per dire: cos’ha la Spagna più di noi? A parte Messi, intendo. Di sicuro una legge sulla procreazione assistita degna di questo nome, ad esempio. Che non si mette a contare gli ovuli come fossero «gratta e vinci» e permette persino la fecondazione eterologa. Forse ho sbagliato esempio, ma un viaggetto, Barcellona, lo vale comunque. Bocadillo, sangria e fiocco azzurro. O rosa, se sperate che sia femmina e volete chiamarla come vostra madre.
Riproviamo: cos’ha la Svezia più di noi? Una legge sulla maternità degna di questo nome, giusto per non scomodare solo gli Abba. E infatti il tasso di disoccupazione femminile è più basso di quello maschile e il papà ha l’obbligo (sì, l’obbligo) di prendersi il congedo di paternità. E anche la differenza tra salari maschili e femminili è tra le più basse al mondo. Forse per quello le donne sono più fertili e a Barcellona ci vanno solo a vedere la Sagrada Familia.
E allora forse sì: anche Stoccolma un volo lo vale. Al massimo dovrete abituarvi alle temperature subpolari, ma per tenervi al caldo basteranno una libreria Expedit da montare sacramentando (nel caso potete andare a casa del fondatore dell’Ikea, il signor Ingvar Kamprad in persona e incastrare la brugola avanzata nel tasto del suo citofono, vendicando così migliaia di famiglie italiane e non solo), un libro del celebre ispettore Kurt Wallander (anche bruciandolo, nel caso, se da quando il nostro eroe si è sposato con una parrucchiera di nome Mona vi ha delusi) o, ma proprio come extrema ratio, rotolandovi con vostro marito.
Non avete nessun debole per la movida spagnola o per la tundra lappone? Allora provate con la Romania. Cosa ci sarà mai a Bucarest che non si trovi a Roma, la città più bella del mondo? Una legge sul divorzio degna di questo nome, per dire. Mettiamo che il marito ti scaldi, certo, ma meno di una volta. Mettiamo che tu voglia cambiare elettrodomestico e che il medesimo sia d’accordo. In Italia per divorziare servono il pil del Belgio, avvocati acrobatici e soprattutto anni di attesa, che a una certa età valgono sette volte tanto, come gli anni dei cani.
Nella terra dei Carpazi è tutto un po’ più semplice, e infatti il viaggetto riparatore lo fanno in molti. Vivono due mesi da quelle parti, si sparano una pista blu in Transilvania, realizzano che la Valacchia esiste davvero e mettono i piedi nel Mar Nero che è sempre meno nero di certi tratti dell’Adriatico.
Però, ecco, però: forse davvero sarebbe il caso di farlo qui, il giretto panoramico. Varrebbe la pena di non essere più turiste e turisti dei diritti e trasformare la mobilità per rassegnazione in stanzialità combattiva. Ieri di sicuro tra i capoccioni di mimose-muniti, ce n’erano un bel po’ che prima di regalare il mazzetto alle dipendenti le avevano costrette a firmare le dimissioni in bianco.
Per non rovinare la festa e per buona creanza, forse non era il caso di prenderli a ginocchiate nell’orgoglio proprio l’8 Marzo. Ma oggi è il giorno dopo. E allora: buon nove marzo a tutte. E a tutti. Con la tenue speranza che arrivi un giorno in cui nascere donna sia un’opportunità e non una condanna, in cui basti essere femmina e non serva combattere come una femminista d’altri tempi. E magari quel giorno i fiori abbinati alla nostra celebrazione non sapranno più di moquette bagnata, ma avranno un profumo inebriante, come solo noi sappiamo essere.

1 commento:

  1. Antonietta, l'avevo letto anch'io, ed è davvero un bel pezzo. Intelligente, brioso, "pensoso", nonostante la leggerezza, straordinariamente femminile, ma non astioso verso i maschi. E' un pezzo straordinario!

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