giovedì 3 maggio 2012

Comunione e fatturazione

Dal Corriere di oggi. Io resto stupefatto, sempre, dal vitalismo degli italiani. Vedete questo "uomo d'affari", il ciellino Antonio Simone, cosa dice di sé: «Faccio lo sviluppatore», si descrive Simone serissimo. Per Simone, infatti, il segreto è usare come imprenditore i contatti tessuti da politico. Sentite come si passa perciò dai libri ai palazzi (potrebbe essere una buona scuola anche per tutti quelli che, idioti, sui libri ci hanno perso la ragione senza cavarne un baiocco). Sentite. A Praga, per cominciare: perché «in Italia avevamo pubblicato i libri di Havel poi diventato presidente della Repubblica Ceca», ma soprattutto perché lì, dopo il crollo del comunismo, c'era «un futuro immobiliare. Comprare palazzi, mettere caparre su palazzi per poi ricercare investitori di questo mercato che si apriva». Capite? Non è geniale tutto ciò? Prima che criminale (se mai sarà accertata qualche responsabilità penale) tutto ciò è geniale. E' una roba da commedia all'italiana, però: non so, vado in Africa a diffondere il Crocifisso e ne ritorno con un business di import-export di legno di noce tanganica. Adesso si capisce meglio perché Dagospia cattura i ciellini semanticamente con l'etichetta "Comunione e fatturazione"... E la moglie di Simone  in tutto questo turbinio di miliardi? Fa il doposcuola ai figli degli immigrati, e ce lo fa sapere tramite interviste! Divento matto. Ma capisco subito dopo perché il romanzo realistico fatichi ad attecchire in Italia e in genere viene fuori quasi sempre un viaggetto intorno al proprio ombelico. Le trame stanno tutte disperse nel reale e sono così fantasiose, deliranti, da sembrare inverosimili e debordanti. Da noi, il nostro "bisogno di romanzo" si sfoga nella realtà, nell'immediato più che nel mediato.
Alfio Squillaci

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