Il
breve commento della settimana scorsa a proposito dei 9 anni del
Partito Democratico necessita di qualche approfondimento anche per
rendere conto di come in un lasso di tempo così breve sia diventato
non solo il primo partito italiano nonché la forza principale di
governo ma anche il più importante partito progressista europeo.
Ovviamente ha aiutato la disgregazione del blocco conservatore che
s’era formato attorno al carisma – e al patrimonio – di Silvio
Berlusconi e che per vent’anni ha tenuto l’Italia al palo. Ma ciò
non basterebbe a capire l’irresistibile ascesa del Pd, anche se in
politica come tutti sanno non esiste il vuoto - come in fisica del
resto, dove particelle reali, virtuali o esotiche fanno a gara nel
disputarsi il palcoscenico della fisica – e appena uno si fa un po’
più in là perde il posto. In realtà il percorso è stato lungo e
accidentato, ma come tutte le cose ben fondate il risultato alla fine
s’è visto. Possiamo partire da lontano, dai tempi
dell’elaborazione della Costituzione
repubblicana
cui parteciparono le forze che contribuirono alla Resistenza, i
cattolici, i comunisti, i socialisti, i laici, che seppero lavorare
insieme per dare alle nuove istituzioni quell’ispirazione che li
aveva uniti nella lotta di liberazione. Poi la lunga stagione della
guerra fredda spezzò la trama di quel comune sentire in termini di
valori e di principi. Ma seppure in campi diversi uomini e donne di
coraggio non spezzarono mai quel filo che teneva in piedi la
democrazia italiana, anzi iniziarono a tessere una nuova tela comune,
fatta di relazioni anche personali, di approcci nuovi, di pensieri
profondi. E qui arriviamo al ‘compromesso
storico’
di Berlinguer e Moro, e nell’arco di pochi lustri all’Ulivo
di Prodi e di Veltroni, per approdare il 4 ottobre del 2007 alla
nascita del Partito Democratico, il luogo dove le migliori culture
politiche italiane si trovano – e si ritrovano – sotto lo stesso
tetto per elaborare un progetto di governo del nostro paese
all’insegna della democrazia, del riformismo e della solidarietà.
Ma anche dell’Europa, come luogo di civiltà e di pace, per cui si
spesero con generosità personaggi del calibro di Ciampi e di
Spinelli, cui va aggiunto il nostro caro ex Presidente Giorgio
Napolitano.
Venne poi (1991) la Bolognina di Achille
Occhetto,
con la presa d’atto di un distacco ormai profondo e irreversibile
dal comunismo, e il passaggio da Pci a Partito Democratico della
Sinistra, e la nascita (1994) del Partito Popolare Italiano per opera
di Mino
Martinazzoli
dove traghettò la parte migliore della morente Democrazia Cristiana.
Per venire all’oggi, il coraggio e il dinamismo –
a volte scambiati per ribalderia solo perché fuori dai canoni
stantii di certa politica e perciò indigesti ai nostalgici di tutti
i colori – di Matteo
Renzi,
ha reso possibile al Pd di diventare la forza trainante del
cambiamento di questo nostro paese bellissimo ma complicatissimo. Con
tutti i limiti, gli errori e le tensioni che si generano in un
percorso così difficile, ma che si nutre dell’impegno
disinteressato e convinto di tanti iscritti ma anche non iscritti, di
amministratori e di parlamentari. Perciò non direi che i problemi,
le discussioni e le divisioni interne derivino da una ancora non
riuscita sintesi delle componenti fondative, ché anzi sotto questo
aspetto le cose funzionano, ma dalla resistenza di alcuni (i nomi ben
li conosciamo, basta aprire una pagina di giornale e li troviamo in
bella mostra ad alimentarne la tiratura con dichiarazioni roboanti e
bellicose) che non si rassegnano ad abbandonare i rassicuranti schemi
ideologici di un tempo, oppure più prosaicamente per ambizioni
personali o rancori repressi (mi sovviene di un certo deputato di
Gallipoli, come lo chiamava Occhetto). Ma tant’è, se ne faranno
una ragione.
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