sabato 22 ottobre 2016

Il Pd ha solo 9 anni ma li porta bene

Il breve commento della settimana scorsa a proposito dei 9 anni del Partito Democratico necessita di qualche approfondimento anche per rendere conto di come in un lasso di tempo così breve sia diventato non solo il primo partito italiano nonché la forza principale di governo ma anche il più importante partito progressista europeo. Ovviamente ha aiutato la disgregazione del blocco conservatore che s’era formato attorno al carisma – e al patrimonio – di Silvio Berlusconi e che per vent’anni ha tenuto l’Italia al palo. Ma ciò non basterebbe a capire l’irresistibile ascesa del Pd, anche se in politica come tutti sanno non esiste il vuoto - come in fisica del resto, dove particelle reali, virtuali o esotiche fanno a gara nel disputarsi il palcoscenico della fisica – e appena uno si fa un po’ più in là perde il posto. In realtà il percorso è stato lungo e accidentato, ma come tutte le cose ben fondate il risultato alla fine s’è visto. Possiamo partire da lontano, dai tempi dell’elaborazione della Costituzione repubblicana cui parteciparono le forze che contribuirono alla Resistenza, i cattolici, i comunisti, i socialisti, i laici, che seppero lavorare insieme per dare alle nuove istituzioni quell’ispirazione che li aveva uniti nella lotta di liberazione. Poi la lunga stagione della guerra fredda spezzò la trama di quel comune sentire in termini di valori e di principi. Ma seppure in campi diversi uomini e donne di coraggio non spezzarono mai quel filo che teneva in piedi la democrazia italiana, anzi iniziarono a tessere una nuova tela comune, fatta di relazioni anche personali, di approcci nuovi, di pensieri profondi. E qui arriviamo al ‘compromesso storico’ di Berlinguer e Moro, e nell’arco di pochi lustri all’Ulivo di Prodi e di Veltroni, per approdare il 4 ottobre del 2007 alla nascita del Partito Democratico, il luogo dove le migliori culture politiche italiane si trovano – e si ritrovano – sotto lo stesso tetto per elaborare un progetto di governo del nostro paese all’insegna della democrazia, del riformismo e della solidarietà. Ma anche dell’Europa, come luogo di civiltà e di pace, per cui si spesero con generosità personaggi del calibro di Ciampi e di Spinelli, cui va aggiunto il nostro caro ex Presidente Giorgio Napolitano. Venne poi (1991) la Bolognina di Achille Occhetto, con la presa d’atto di un distacco ormai profondo e irreversibile dal comunismo, e il passaggio da Pci a Partito Democratico della Sinistra, e la nascita (1994) del Partito Popolare Italiano per opera di Mino Martinazzoli dove traghettò la parte migliore della morente Democrazia Cristiana. Per venire all’oggi, il coraggio e il dinamismo – a volte scambiati per ribalderia solo perché fuori dai canoni stantii di certa politica e perciò indigesti ai nostalgici di tutti i colori – di Matteo Renzi, ha reso possibile al Pd di diventare la forza trainante del cambiamento di questo nostro paese bellissimo ma complicatissimo. Con tutti i limiti, gli errori e le tensioni che si generano in un percorso così difficile, ma che si nutre dell’impegno disinteressato e convinto di tanti iscritti ma anche non iscritti, di amministratori e di parlamentari. Perciò non direi che i problemi, le discussioni e le divisioni interne derivino da una ancora non riuscita sintesi delle componenti fondative, ché anzi sotto questo aspetto le cose funzionano, ma dalla resistenza di alcuni (i nomi ben li conosciamo, basta aprire una pagina di giornale e li troviamo in bella mostra ad alimentarne la tiratura con dichiarazioni roboanti e bellicose) che non si rassegnano ad abbandonare i rassicuranti schemi ideologici di un tempo, oppure più prosaicamente per ambizioni personali o rancori repressi (mi sovviene di un certo deputato di Gallipoli, come lo chiamava Occhetto). Ma tant’è, se ne faranno una ragione.


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