A pochi giorni dalla mia elezione, in qualità di Consigliere Comunale eletto, insieme alla collega Doriana Marangoni, mi sono recato in visita al presidio dei lavoratori della “Dielle” di Via Galilei. Il presidio, allestito da una decina di giorni, è la risposta che i 74 operai hanno dato alla proprietà per ottenere maggiori diritti e più sicurezza sul lavoro. Durante la visita, pensata per portare la nostra solidarietà ai lavoratori in lotta, abbiamo ascoltato storie agghiaccianti di ordinaria ingiustizia. Paghe da fame, contratti non applicati, pessime condizioni lavorative, norme di sicurezza non rispettate. E poi, stipendi al di sotto del minimo contrattuale, lavoratori sfruttati, alle dipendenze di Cooperative dislocate nei posti più remoti d’Italia, che chiudono e riaprono in continuazione, lavoratori che vivono giorno per giorno in condizioni igieniche e di sicurezza inesistenti: basti pensare che cè un solo bagno per 74 persone e non esistono gli spogliatoi. Strumenti di protezione, come tute o scarpe anti infortunistiche, sono solo un miraggio per i lavoratori della Dielle: gli infortuni si sprecano, tanto che proprio qualche tempo fa, raccontano, un lavoratore ha perso un piede in un macchinario. Abbiamo visto con i nostri occhi le bruciature e le cicatrici da acido su mani e braccia di alcuni operai “perchè l’azienda fornisce solo tre paia di guanti, se li rovini, te li devi comprare”.
Il racconto sarebbe ancora lungo, dettagliato e drammatico. Mi fermo qui. In questo momento tutto è nelle meni del sindacato, che ha portato il caso davanti alla Prefettura di Milano, nel tentativo di chiudere una vertenza difficile. Mentre ascoltavo basito le parole di quei ragazzi che ho conosciuto Venerdi scorso in Via Galilei, un brivido mi ha attraversato la schiena: ho pensato a quante storie simili ancora possono essere raccontate, a quanti schiavi del ventunesimo secolo esistono ancora a nostra insaputa. Ripartire dal lavoro, come noi diciamo, significa anche spezzare questo sistema ingiusto e spietato, significa portare a galla situazioni, denunciarle, spendersi per provare a fare qualcosa.
Le angoscianti storie ascoltate non moriranno nel dimenticatoio della politica, su questo mi spendo in prima persona. Terremmo gli occhi aperti e vigileremo, intervenendo, per quanto ci sarà possibile. Nella consapevolezza che quei lavoratori, come altri, a Cassina de’ Pecchi, non saranno mai lasciati soli. Non da noi.
Bello, drammaticamente, grave ed importante l'articolo di Andrea sull'argomentro.
RispondiEliminaLa tutela del lavoro e dei lavoratori innanzitutto.
Grazie Andrea per averlo scritto.
Ma, le aziende che si comportano in tal modo verso i propri dipendenti, normalmente, hanno il medesimo rispetto, cioè zero, verso l'ambiente ed il territorio in cui operano: quale attività svolge l'azienda? qual è il suo ciclo produttivo? come vengono trattati gli scarti di lavorazione e vengono smaltiti i rifiuti? E' stato verificato tutto ciò?
Luigi Ubertis Bocca
Abbiamo forti dubbi (e come noi il Sindacato) che le norme sul rispetto e la tutela ambientale siano applicate. Anche su questo aspetto, spero, si farà luce. Intanto tutta la vicenda è sul tavolo dei nostri parlamentari.
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