Non mi è mai piaciuta la parola rottamazione, fa pensare alle vecchie automobili da buttare e alle pile di carcasse degli sfasciacarrozze che si vedono nelle periferie delle città. Le donne e gli uomini non sono un ammasso di lamiere e per questo vanno trattati per quel che sono. Eppure il tema del ricambio generazionale esiste ed è un problema di prima grandezza che, se non viene risolto, crea un blocco pericoloso. Un Paese che non si rinnova è un Paese vecchio e senza futuro. Quindi, senza innovazione nelle idee e nei progetti, inchiodato al suo passato e incapace di guardare avanti. Questo lavoro di ricambio per lunghi anni ha funzionato perchè è stato stimolato da gente che sapeva guardare al di là del proprio interesse particolare e pensava che i partiti, i sindacati o i governi dovevano esistere anche oltre se stessi. Basti ricordare che Pietro Ingrao fu eletto deputato e diventò direttore dell’Unità quando aveva 32 anni e il segretario del Pci, Palmiro Togliatti, era un “vecchio” di 50 anni. Giorgio Amendola entrò a Montecitorio a 41 anni. Ma anche Amintore Fanfani fu ministro a 39 anni e Giulio Andreotti fu eletto all’Assemblea Costituente a 27 anni, Bettino Craxi diventa vice segretario del Psi a 38 anni e segretario a 42. Diciamo che dal dopoguerra fino a metà degli anni Novanta questo ricambio ha funzionato quasi alla perfezione. D’Alema diventa segretario del Pds a 45 anni e Veltroni direttore dell’Unità a 37 e si circonda di un gruppo di giornalisti la cui età media era più bassa della sua.
Da allora però si è bloccato tutto, e non solo nella politica. Anche nei giornali, che in quegli stessi anni erano diretti da quarantenni (Paolo Mieli e Ezio Mauro, solo per citarne due), l’orologio si è fermato. Sulle cause si deve riflettere bene. In generale si può dire che la generazione nata negli anni Cinquanta è quella che ha mostrato il più ostinato attaccamento al proprio ruolo di potere e un’incapacità totale di aprire la strada ai più giovani. E’ un difetto che riguarda un po’ tutti e che ha avuto come contraltare, bisogna dirlo, l’assenza di coraggio di quelli che dovevano venire avanti.
Fa quindi un po’ pena la meraviglia, la sorpresa e anche un po’ la spocchia che si avverte qui e lì di fronte a questi giovani che oggi cercano di emergere sulla scena politica. Magari saranno tutti degli incapaci, lo vedremo. Ma anticipare il giudizio solo perché hanno poco più di trent’anni è profondamente sbagliato. Pensare che a trent’anni non si possa fare il ministro, il direttore di un giornale o l’amministratore di una banca è il vizio di chi guarda il mondo dall’alto in basso e continua a ripetere il mantra dei vecchi: ai tempi miei…No, ai tempi nostri l’abbiamo avuto il nostro spazio. E insomma non è che poi siamo stati così geniali se oggi ci ritroviamo a guardare con sospetto qualcuno che tenta di fare quel che abbiamo fatto noi e andiamo a caccia dei particolari che possano screditarli: il colore dei capelli, la cravatta, una certa naturale dose di inesperienza. Anche loro, come noi, faranno qualche errore. Ma via, diamogli un po’ di fiducia come qualcuno a suo tempo fece con noi.
Da allora però si è bloccato tutto, e non solo nella politica. Anche nei giornali, che in quegli stessi anni erano diretti da quarantenni (Paolo Mieli e Ezio Mauro, solo per citarne due), l’orologio si è fermato. Sulle cause si deve riflettere bene. In generale si può dire che la generazione nata negli anni Cinquanta è quella che ha mostrato il più ostinato attaccamento al proprio ruolo di potere e un’incapacità totale di aprire la strada ai più giovani. E’ un difetto che riguarda un po’ tutti e che ha avuto come contraltare, bisogna dirlo, l’assenza di coraggio di quelli che dovevano venire avanti.
Fa quindi un po’ pena la meraviglia, la sorpresa e anche un po’ la spocchia che si avverte qui e lì di fronte a questi giovani che oggi cercano di emergere sulla scena politica. Magari saranno tutti degli incapaci, lo vedremo. Ma anticipare il giudizio solo perché hanno poco più di trent’anni è profondamente sbagliato. Pensare che a trent’anni non si possa fare il ministro, il direttore di un giornale o l’amministratore di una banca è il vizio di chi guarda il mondo dall’alto in basso e continua a ripetere il mantra dei vecchi: ai tempi miei…No, ai tempi nostri l’abbiamo avuto il nostro spazio. E insomma non è che poi siamo stati così geniali se oggi ci ritroviamo a guardare con sospetto qualcuno che tenta di fare quel che abbiamo fatto noi e andiamo a caccia dei particolari che possano screditarli: il colore dei capelli, la cravatta, una certa naturale dose di inesperienza. Anche loro, come noi, faranno qualche errore. Ma via, diamogli un po’ di fiducia come qualcuno a suo tempo fece con noi.
Un ottimo punto di vista, che dite?
'Da allora però si è bloccato tutto, e non solo nella politica', dici bene. In quella generazione nata attorno agli anni '50 c'è attaccamento al potere, è vero, ma io ci vedo anche altro , per esempio una sopravvalutazione di sé stessi per aver attraversato epoche dense di avvenimenti e trasformazioni (quelle che vanno dal dopoguerra al '68), e -in primo luogo in politica- il fatto che per molti sia diventata una sorta di professione. Per come la vedo io, e per come mi pare di vedere in altri paesi europei al pari del nostro, uno ( o una ) dapprima ha una professione con cui sbarcare il lunario, poi si butta in politica, poi ritorna alla sua professione che gli dà da vivere. Insomma, non rimane abbarbicato sugli scranni del potere perché al di fuori di questo sarebbe un fallito. Il termine 'rottamazione' era volutamente forte e provocatorio perché bisognava far capire a 'questi' che la loro ora era finita e che dovevano lasciare il campo a nuove e più fresche energie, e che 'dopo di me il diluvio' esiste solo nella loro testa.
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