Con la
vittoria di Renzi il PD non è più un partito di ex, ex-comunisti,
ex-democristiani, ed ex-altri. La ‘fusione fredda’ che aveva provato a mettere
insieme le varie anime di provenienza era stato tentativo generoso di alcuni,
come Prodi, che avevano in mente un partito riformista moderno. Ma in barba
alle intenzioni si erano subito formati dei sottopartiti ( le hanno anche
chiamate fondazioni, per darsi un’aura di modernità) in perenne competizione
tra di loro. Le storie passate, vissute in modo così ideologico, l’ossessione
per l’identità come a creare un recinto che separasse dagli altri, più la
vocazioni di molti a vivere di rendite politiche (oltre che di rendite d’altra
natura), senza un minimo sforzo di innovazione e tanto meno di immaginazione,
ci hanno fatto subire il ventennio berlusconiano per il semplice motivo che
questa ‘sinistra’ non era in grado di costituire una vera alternativa. Piagnona,
conservativa, logorroica, questa ‘sinistra’ inconcludente, tirava a campare
riciclando vecchi pezzi di ideologia da museo delle cere all’insegna di un ‘ecumenismo’
flebile ed inefficace e riproponendo i soliti slogan con un linguaggio contorto
e incomprensibile. Con Renzi si apre una nuova stagione. Non la stagione dei
miracoli, ma la stagione del fare dopo le chiacchiere, del prendere decisioni
che non c’è più tempo, del dinamismo che solo una nuova squadra di dirigenti
può imprimere al partito, del parlar chiaro e senza equivoci che non c’è niente
da nascondere, dell’esser conseguenti che questo è il dovere di chi fa ‘politica’.
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