lunedì 16 settembre 2013

Caro Renzi, ti ascoltiamo parlare per ore e non capiamo che Italia hai in mente

Lo scorso autunno, proprio di questi tempi, era una ventata di ossigeno fresco. Era la fiaccola che entrava nel museo delle cere del potere politico italiano. Dopo molte ragioni, diversi torti e qualche occasione persa, il paese e il suo partito, il PD, sembrano mettersi volentieri, ordinatamente in fila per consegnarsi a Matteo Renzi.
In qualche caso è ravvedimento di chi vorrebbe poter tornare a prima delle primarie; in qualche caso è sincera stanchezza di chi ha sempre perso e vorrebbe anche provare altro; in molti casi, solitamente in alto nella scala gerarchica del PD, è spettacolo di miseria umana di chi è stato ferreo difensore dell’ortodossia bersaniana, magari per quella via è diventato anche parlamentare, o oggi rimuove quel passato (e magari anche qualche compromettente status di Facebook) per professare un renzismo oltranzista come se non ci fosse un ieri. Vabbè. Tutti i generi neorenziani sopra elencati erano visibilmente rappresentati ieri, a Milano, dove Matteo Renzi è stato chiamato a chiudere la Festa del Partito Democratico. (Appena un anno fa, mentre parlava Bersani seguito da tutto un codazzo di futuri parlamentari e dirigenti allora bersanianissimi, Renzi non fu nemmeno invitato e il suo rappresentante Gori relegato sotto un tendoncino striminzito alla stessa ora dell’allora segretario. Ma vabbè).
E insomma ieri eravamo in tanti, alcune migliaia, moltissimi giovani, tanti militanti, tanti curiosi, tanti iscritti o neo iscritti. Tutti cittadini elettori. Abbiamo ascoltato Renzi parlare per un’ora. Un’ora di battute, di slogan, del solito buon ritmo comunicativo: ma chi aveva voglia di capire di più e meglio che Italia ha intesta il sindaco, che partito democratico vuole, quali interessi e pezzi di società intende rappresentare, è rimasto sinceramente deluso. Abbiamo capito che vuole un PD che stia vicino a quelle solitudini che poi dilapidano fortune alle slot machine (!?), ma non abbiamo capito – neanche vagamente – come pensa di ridisegnare il welfare italiano, con quali risorse, tagliando cosa per investire in cosa. Abbiamo capito che come sindaco sa cosa vuol dire essere fermato per strada dai suoi cittadini quando qualcosa non va, ma non abbiamo capito – neanche lontanamente – come, quando e lungo quali crinali pensa di affrontare l’urgenza numero uno: che è una riforma profonda, radicale e innovativa della macchina dello stato e della pubblica amministrazione. Anche qui, servono riforme e decisioni, scelte che per definizione dividono. Non abbiamo capito cosa pensa della scuola e dell’università, come pensa di interrompere quella lunga confusione tra diritti e privilegi, tra meriti e discendenze, né come e dove pensa di tagliare quella spesa improduttiva senza la quale la promessa di un fisco più giusto (o di una Equitalia meno brutale coi deboli) ricorda tanto quella volta che ci dissero che presto avremmo avuto un milione di nuovi posti di lavoro. Non abbiamo capito come il suo PD si relazionerà al sindacato e alla Cgil, ultima “lobby” di fatto riconducibile al partito ma ormai sempre più lontana dalle dinamiche del lavoro di oggi e di domani.

Quelli che sanno di politica ci spiegavano, ieri, che il Matteo ha un piano: prendersi il partito dicendo poco o niente, e comunque niente di ciò che può fare male o fargli perdere pezzi di consenso interno. E poi, solo poi, agirà in modo netto e chiarissimo, alla conquista dei voti dell’Italia vera, nel mare aperto della campagna elettorale.
Sembra una versione da questura, un po’ agiografica, e già pronta per essere adattata in campagna elettorale: “Matteo dice poco, il meno possibile prima del voto, e poi una volta eletto sì che lo vedrete in azione…”. Il rischio, non da poco, è che questo patrimonio di fiducia che sembra al suo massimo sia invece intaccato da questi silenzi, da queste ambiguità attente a non offendere nessuno. Il rischio ancora più grave è che qualcuno, lassù, si convinca che si possa vincere e governare senza cambiare passo e stile rispetto al passato. Un passato in cui i programmi elettorali erano chiacchiere senza obiettivi reali, senza sostanza, senza realismo, senza alcuna carica di cambiamento e tensione. Un passato da rifiutare con forza per chi esiste solo in forza della voglia di cambiamento di tanti. E quindi, non abbia paura di sembrare vecchio, il sindaco: un programma di governo realistico e netto non è roba da rottamare, anzi. Ci manca da così tanti anni che alla maggioranza non sembrerebbe un ritorno al passato remoto, ma uno slancio – finalmente – nel futuro.

3 commenti:

  1. Nessun timore, ci sono altri candidati da preferire al nostro -se si vuole-, c'è Civati, il biricchino, e c'è Cuperlo, che ha dalla sua sua tutta la vecchia nomenklatura, e forse ci sarà Barca con il suo 'catoblefismo'. Perché invece di sparare sul buon Matteo non ci viene detto qual'è l'idea di paese e di partito dei suoi concorrenti? A me par di aver capito - e lo dico in soldoni- che Renzi vuol liberare il paese dalla cappa dei privilegi e del conservatorismo di cui buona parte della sinistra politica e sindacale è oggi partecipe, e che vuol liberare il partito dal modello 'Comitato Centrale' ancora dominante, e per ora mi basta. Per il resto lo aspetto al varco sulle proposte concrete di governo del paese, e più ancora alla prova dei fatti se dovesse assumere la carica di premier.

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    1. Vedremo, vedremo, a parole son tutti bravi ad asfaltare questo e quello. I soldi non ci sono per nulla... Come dopo 20 anni dalla caduta dalla DC siamo stati costretti a vivere nel mondo della DC (pensioni baby - governo Rumor; debito pubblico - tutti governi prima repubblica; pansindacalismo- a partire dal '68, ecc) così dopo 20 anni di berlusconismo saremo costretti a vivere dentro il perimetro disegnato da Berlusconi. Di fronte a questi campioni alla Fonzie, io mi fermo al cauto ragionare di Cuperlo. Ci sarà con lui la vecchia nomenklatura? Mah, Fassino, Veltroni, Bettini e Chiamparino sono con Renzi. O sono meno nomenklatura loro? Vedremo, vedremo. Intanto la mia diffidenza per Renzie, come per Barca, è linguistica: non mi piace il suo voltaggio espressivo. Sono indizi, ma di quelli soltanto viviamo oggi, e a volte bastano. Per il futuro vedremo. Aggiungo solo questo: se Cuperlo imbarca Marini, scappo a gambe levate. Ho conosciuto troppo da vicino la CISL e i suoi centri di potere per consentirmi un appoggio seppur obliquo a un sindacato/potentato che ritengo una propaggine dei poteri occulti di questo Paese. Vedremo, spesso solo questo possiamo dirti "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo"...

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  2. Proprio oggi Marini s'è imbarcato con Cuperlo, il compromesso storico Dc-Pci si sta ricompattando.

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