lunedì 16 luglio 2012

Il Parlamento, la politica e gli italiani


Pubblico un intervento  non proprio da blog. È una lunga meditazione su come viene percepita, o è stata percepita nel passato, l'istituzione parlamentare nel nostro Paese e sul  rapporto che s'è stabilito tra essa e l'opinione comune dei connazionali. Spero che il periodo di ferie estive e il conseguente maggior tempo libero propizi la lettura di questa "articolessa". 

L'istituzione  parlamentare  non ha mai suscitato grandi entusiasmi nel nostro Paese. Cosa mai si può concludere in un luogo dove  si parla? In un Paese  individualista, vitalista, anarchico, in cui  si dice che “le parole sono femmine  e i fatti  sono  maschi”  ̶  e  i numeri delle partite IVA deliziano molto più delle parole scritte  e incartate in quegli involucri sconosciuti ai più che sono i libri  ̶ , il Parlamento inevitabilmente è stato visto come  il luogo in cui  si disputano insensate logomachie (guerra di parole), dove si celebrano incomprensibili rituali e s'attorcigliano bizantinismi procedurali. Che la democrazia  rappresentativa  sia questo: una formalizzazione, una ritualizzazione  e una miniaturizzazione del grande gioco sociale, agli italiani è sembrato per lungo tempo una bizzarria anglosassone, come il pudding o il cricket. Che si potessero rappresentare le lotte sociali e la stessa vita nazionale in un luogo ristretto, in una cavea da teatro greco, con attori deputati disposti a Centro, a Destra e a Sinistra, è sembrato  ai nostri connazionali una stranezza di quei francesi della Convenzione  ancora irretiti dalla teatralità maestosa   del grand  siècle.
Del resto in Italia  il costituzionalismo venne  benevolmente  octroyé, concesso dai, più che strappato ai,  re, e il parlamentarismo si instaurò  come  una tacita prassi, tant'è  che di fronte  alle prime crisi (atmosfera morale e politica dalla quale non sembra siamo mai usciti) si urlò presto Torniamo allo Statuto!,  quella carta costituzionale  che  non prevedeva un controllo  delle  Camere  sugli atti  del Governo.  L'Istituzione subì  in seguito l'assalto mortale  di chi già voleva trasformarla in un bivacco di manipoli e, in seguito, la carica dileggiatrice e devastante del qualunquismo e delle maggioranze silenziose, eventi   che mostravano in chiaro agli italiani  certi  loro oscuri e tenaci  pensieri sulla politica e i politici.

Istituzione  complessa  e delicata, che si attaglia forse a popolazioni evolute, induceva Stendhal  ̶  quando gli italiani erano ancora politicamente immaturi e  appena  al risveglio dal letargo dei secoli bui dal quale venivano scossi dalle armate napoleoniche  ̶  a interrogarsi ripetutamente in Roma, Napoli, Firenze, se essi fossero davvero pronti per le Deux Chambres, questa finezza politica. E quando finalmente quei noiosi dei piemontesi estesero all'intero Paese questa loro noiosissima Istituzione, ci fu a partire  dal secondo Ottocento tutto un levarsi di lamenti e di rivolte ideali e di romanzi  ̶  caso raro al mondo il genere del romanzo parlamentare  ̶  contro la mal compresa  e  odiata Istituzione.
Qualche  decennio   dopo  che il messo sabaudo  Chevalley veniva  rimandato indietro nella fredda Torino  dal diniego gattopardesco di partecipare al Parlamento subalpino, Pirandello faceva mormorare al giovane Lando ne I vecchi e i giovani: « Lui, a Montecitorio, in quel momento? Meglio affogarsi in una fogna!»  e De Roberto, certo uno scrittore intelligente e incompreso, vi ambientò tutto un romanzo a Montecitorio,  L'Imperio, dove non mancò di indugiare ironicamente sulle liturgie parlamentari delle interrogazioni «sull'ubicazione d'una fermata di una ferrovia di Sardegna», «sopra uno sciopero di sigaraie di una manifattura di tabacchi del Veneto», «sui danni prodotti da un'alluvione in Calabria», o «sull'applicazione di un comma d'un articolo d'un regolamento».

Di fronte al permanente sospetto della popolazione verso i politici, intesi tout court come parlamentari, dunque politicanti  parolai, la classe politica in evidente difficoltà e in cerca di facili consensi, cominciò, a partire dagli  anni '70 del secolo scorso, a candidare al Parlamento le più svariate categorie di cittadini di successo, cantanti, attori, calciatori, presentatori televisivi,  attricette porno, avvocati di grido e in ultimo industriali e scrittori, i quali salvo qualche eccezione si unirono al coro dei lamenti, non appena scoprirono che in quel luogo si dettavano norme sui lavoratori transfrontalieri  o  i molluschi lamelliformi!
Ancora oggi non fa parte del comune sentire che la politica  è  un ramo specialistico delle professioni intellettuali, un'attività dannatamente tecnica, e che for se bisogna farla fare ai politici di professione  o a chi la elegge come professione, e che si deve pertanto assegnare anche agli odiati politici il riconoscimento sociale  e l’adeguata remunerazione  che si concede   agli avvocati penalisti, agli psicoanalisti, agli attori, ai cantautori, a tutti coloro che vivono di parole senza vergognarsi.

Attività  altamente tecnica  è  la  politica  e  ad alto contenuto professionale, dove non ci si improvvisa,  ed essa  può  occupare   degnamente una intera  esistenza (così  fu per Pietro Nenni o  Alcide De Gasperi), ed è tanto assorbente, anche in termini di sfrido di energie personali   ̶   se fatta responsabilmente  ̶   che non è pensabile di poterla  dismettere senza un’adeguata copertura  di previdenza sociale.  Nella  Prima Repubblica, tanto biasimata  quanto  tragicamente disintegrata  senza un adeguato rimpiazzo,  era normale che si iniziasse l’attività politica dagli scranni dei Comuni, avvezzandosi alla dialettica  e alla pratica politica  ̶  che altro non è che una difficile coniugazione, mediazione, soppesazione  tra   ideali e interessi (sì  interessi)  ̶  a partire dai  canali scolmatori e le acque reflue, per poi passare alla Provincia, alla Regione  e quindi al  Parlamento nazionale. Si progrediva   in  politica  secondo un percorso  ascendente  (si saliva, non si scendeva in politica)  che si richiamava  all’antica  Roma  e che trovava  una denominazione ovvia e condivisa: cursus honorum.

E oggi, nei giorni in cui il vento dell’antipolitica  soffia nei blog  e  nei social network  come la bora di questo glaciale  inverno del nostro scontento  e  i sondaggi  danno la   classe politica  ai minimi storici in termini di fiducia, occorre ribadirlo con forza anche  se  ci  si fa ipso facto un esercito di nemici: signori,  se si vuole vivere associati non è possibile fare a meno della politica  ̶   è così più o meno dai tempi del neolitico  ̶   e dunque  non si può fare a meno dei politici.  Quindi  non delegate al mugugno il vostro (ri)sentimento politico,  e  se non vi va bene quella in corso, “ascendete” anche  voi  in politica,  perché  essa, come dice il papà  sindacalista  sul letto di morte  nel  bel film di Tornatore  Baaria,  « è bella».


 Singolare  è poi  l’idea di ridurre  i politici  a  pane e acqua  o di sottoporli a una rotazione  continua  (due o tre mandati)  appellandosi  a modelli esteri («facciamo come in America»). Tanto più che tutti quei movimenti  ferocemente antipolitici, i leghisti prima,  i grillini dopo  o gli stessi radicali, quelli  che urlano contro  il regime con molte legislature alle spalle,  si trovano  prima o poi davanti all’impasse di dover accettare  l’odiato principio  che l’attività politica può essere un degno mestiere  (che io non farei mai, perché  ne pavento il  disumano impegno  e  il sequestro dagli usuali affetti e dalla vita pigra del lettore di libri). Tant’è vero che non è difficile contare molti  politici  leghisti   che  hanno abbandonato  professioni e fabbrichette per seguire il loro demone politico:  ed erano quelli che più  urlavano contro la cadrega o agitavano  cappi in Parlamento.  Ma nessuno  li può rimproverare  per  una pratica  della  politica  così  protratta nel tempo da assurgere a professione: se vengono eletti e rieletti: perché no? Quale vergogna ci può essere nel rappresentare il proprio popolo  ̶  nel centrodestra, di recente, è raccomandato un brivido di compiacimento  nel pronunciare questa parola  ̶   per più mandati?

E non mette conto, infine,  rammemorare la vecchia distinzione weberiana: vivere   di  politica e vivere per la politica, la prima  una scelta ignobile, la seconda un atto nobile. Andiamo:  un prete non vive forse  di  fede oltre che per la fede?  E nella concezione  della politica esercitata  als beruf  (come professione) secondo l’impostazione di  Max Weber non  è  utile rammentare che  beruf  in tedesco oltre che professione  significa anche  vocazione, che il termine implica  pertanto  due  “possibili”  narrativi, due paradigmi  di vita   racchiudibili  in un’unica esistenza: una professione che è una vocazione  e viceversa ?

Certo,  la politica  non è questo  idillio che forse qualcuno potrà  desumere per  antifrasi  ironica  da queste note. Facile è rammentare   tutti i vizi della nostra classe politica, quelli storici e quelli recenti:  il trasformismo ondivago, il lobbismo opaco, la corruzione sistematica, il clientelismo. Ma a tutti i connazionali che puntano schifati  il dito contro  di essa  nel sogno inconfessato di una politica senza  politici, occorre quanto meno ricordare la vecchia obiezione  di Gaetano Salvemini, che cioè «la classe politica è per il dieci per cento peggiore del Paese, per il dieci per cento migliore, per il resto è il Paese».



2 commenti:

  1. Ho letto volentieri la tua colta e raffinata conversazione sul Parlamento e la politica in Italialand: una lettura "slow" che arricchisce ogni tanto ci vuole! Purtroppo dobbiamo constatare, nelle prime scomposte manovre dei partiti in vista delle prossime elezioni politiche, una predominanza della prima componente nominata nella citazione di Salvemini. Dopo sei mesi di governo d'emergenza in cui tutti dicevano "niente potrà più essere come prima nella politica e nei partiti...", lo scenario sembra tolto dalla naftalina con gli stessi buchi e le stesse macchie di unto che ci stavano portando nella spazzatura dell'UE. Speriamo che venga dato spazio alla seconda componente, confidando che il restante ottanta per cento eserciti il voto con maggior consapevolezza. Franca

    RispondiElimina
  2. Carissima, ritengo che davanti a un forte choc politico-economico gli italiani cambieranno registro. Del resto, solo quando furono portati nel cassoni di sabbia della Libia o nelle steppe russe capirono in che mani si erano messi... I connazionali mi piacciono e, come dire, "si è italiani così come si respira", ma temo che abbiamo bisogno di dure repliche della storia per capire che sono stati i nostri comportamenti collettivi (anche elettorali ovviamente) a portarci a questo punto. Dobbiamo solo sperare in meglio, ma sono piuttosto pessimista, ricordando che un pessimista non è altro che un ottimista ben informato...

    RispondiElimina

Questo blog non è moderato. Si raccomanda perciò un'adozione civile di modi e di toni.