martedì 31 maggio 2016

Con la Riforma Costituzionale entreremo davvero nella Seconda Repubblica

Dal "Corriere della Sera" del 30/05/2016, Michele Salvati

«La riforma costituzionale è problema troppo serio per essere affidato ai soli costituzionalisti»: l’adattamento di questa famosa battuta mi è venuto spontaneo notando la piega che la discussione sta prendendo. Nessuno nega l’importanza del ruolo dei costituzionalisti, imprescindibile, ma il protagonismo che sinora hanno avuto nel dibattito è ingiustificato: la riforma è un grande problema storico-politico, che riguarda tutti i cittadini e richiede tutte le competenze — di storici, politologi, economisti, sociologi, e altri ancora — che sono necessarie per valutare le cause e soprattutto le conseguenze di un mutamente di tale rilievo.
Se il referendum passerà entreremo in una «vera» Seconda Repubblica: avere così definito l’assetto politico in cui siamo entrati più vent’anni fa, dopo la riforma elettorale del 1993 e le elezioni del 1994, è stata una semplificazione giornalistica che non corrisponde alle ragioni per le quali i francesi distinguono in questo modo i diversi regimi repubblicani. Entreremo — anzi, cominceremo a entrare — nella Seconda Repubblica, perché l’adattamento alla svolta impressa dalla riforma non sarà breve: le transizioni, come gli esami, non finiscono mai.
Partiamo dall’origine. Storici e giuristi hanno ampiamente documentato come la Costituzione del 1948 sia frutto non solo di un compromesso tra orientamenti ideologico-culturali diversi (democristiano, socialista, liberale) ma di un problema politico allora dominante: come porre limiti e freni all’azione dell’esecutivo nel caso — non improbabile — che le elezioni venissero vinte dal Partito Comunista e dai suoi alleati. Anche grandi personalità costituenti, che avevano a cuore l’obiettivo dell’efficacia dell’azione di governo e riconoscevano l’importanza di una democrazia capace di decidere, dovettero rassegnarsi al fatto che la cortina di ferro — ne aveva appena parlato Churchill — attraversava il nostro Paese e bisognava imbrigliare quanto possibile un partito anti-sistema che avesse ottenuto una maggioranza elettorale.
Non era solo l’anomalo bicameralismo paritetico e indifferenziato a rendere faticoso il processo decisionale. Erano la stessa struttura del processo legislativo, i regolamenti parlamentari, la legge elettorale proporzionale a produrre effetti di rallentamento che solo una mediazione politica quasi consociativa era in grado di superare: di questa fu maestro il Partito comunista quando divenne chiaro che la sua estromissione dal governo, laconventio ad excludendum, era un dato di fondo della Prima Repubblica.
Insomma, la lentezza e l’incoerenza delle decisioni, la moltiplicazione dei poteri di veto, gli ostacoli frapposti a riforme promosse dal governo e non condivise dall’opposizione, erano caratteri emergenti del modello di democrazia della nostra carta costituzionale, ai quali il sistema dei partiti si adattò e sostenne. Adattandosi, produsse esiti indesiderati: il debito che abbiamo sulle spalle, l’inefficienza delle istituzioni, la fatica a riformare e a reagire a mutamenti esterni, derivano in larga misura dalla Prima Repubblica.
E l’aspirazione alla Grande Riforma, il mito della Governabilità, rimasero aspirazioni e miti fino a quando la situazione politica non mutò radicalmente a seguito di fratture interne ed internazionali: l’implosione dell’Unione Sovietica e la scomparsa della minaccia comunista; la crisi politica italiana dei primi anni 90 che spazzò via i vecchi partiti; il nuovo regime economico neoliberale e globalizzato, che sostituì il tollerante regime di Bretton Woods che aveva accompagnato gran parte della Prima Repubblica; il trattato dell’Unione Europea e l’Unione Economica e Monetaria che trasformarono l’Europa da madre in matrigna, come molti pensano con qualche ragione. E’ ponendosi all’altezza di questi cambiamenti storici che va valutata l’opportunità di una riforma costituzionale, non ragionando sulla base di principi giuridici astratti e, sotto sotto, con il rimpianto per il lasco andare del vecchio regime.
Si tratta di cambiamenti che, in larga misura, sono avvenuti a livello internazionale o europeo: possiamo auspicare che in futuro possano modificarsi ancora, riportandoci al «mondo di ieri» della Golden Age e dei trent’anni gloriosi successivi alla guerra. Come Paese semi-periferico, possiamo fare poco per ottenere questo scopo. Nel frattempo dobbiamo andare avanti e migliorare le capacità decisionali della nostra democrazia - l’efficienza delle sue istituzioni, la competitività della sua economia, il rispetto delle sue leggi — quali che siano le idee politiche che professiamo.
Nelle intenzioni dei suoi estensori, questo è il fine della riforma costituzionale. Speriamo che alle intenzioni corrispondano i risultati, ma questo, se passa il referendum, lo vedremo tra molto tempo.

domenica 29 maggio 2016

Diario di Bordo, dalla parte giusta.

Immagini terribili quelle andate in onda in mondo visione sul naufragio dell'ennesimo "barcone della speranza" avvenuto al largo della Libia.

Immagini che rimarranno impresse nella nostra memoria e che fanno però il paio con quelle degli "Eroi" dei nostri mari, gli uomini e le donne della Marina Militare, della Guardia Costiera, dei pescatori e di tutti coloro che dall'inizio dell'anno hanno salvato 33000 vite, 4000 solo nell'ultima settimana. Sono Eroi, si proprio cosi. E i nostri applausi, che si uniscono a quelli dell'Europa intera, ci fanno dire che si, ha ragione l'Unità a dire che a loro va dedicato un pensiero per il Premio Nobel per la Pace: a loro, al loro lavoro, rischiosissimo e al loro coraggio, alla determinazione con la quale stanno gestendo egregiamente un compito difficile.  

Storie drammatiche che ci ricordano l'impegno del nostro Paese, del nostro Governo, del nostro Partito in una battaglia epocale: contrapporre alla politica dei muri quella dei ponti, della tolleranza, della solidarietà. 
Cosi spieghiamo le due Leggi approvate in settimana e che vi proponiamo in questa Newsletter numero 18 del Pd di Cassina de Pecchi: approvata la Riforma del Terzo Settore , una Riforma organica che riguarderà 44 mila persone, perchè l'Associazionismo non è secondo a nessuno. Mentre il Senato, con il Dopo di Noi da l'ok al Testo per un Welfare più umano e più vicino alle persone, intanto il Movimento 5 Stelle perde un altra occasione

Settimana densa, quella passata. Il 24 Maggio è stato preso un impegno preciso per Bagnoli: restituire una delle spiagge più belle al Mondo a Napoli e all'Italia intera. E a Giungo, le Amministrative. Qui le informazioni per il voto in Lombardia e qui quelle sulle elezioni nel resto del Paese

Riforma Costituzionale: Una sintesi dell'intervento del Premier Renzi in Aula durante il sesto e ultimo voto alla Riforma preparata da Antonietta Pensato. Spazio anche a chi si oppone alla Riforma con il Pensiero del matematico Odifreddi e due risposte, una di Marino Contardo e una di Silvestre Loconsolo. Intanto 184 accademici firmano il Manifesto per il SI che contiene le buone ragioni della Riforma.Tutto quel che cè da sapere invece lo trovate a questo link: cosa e come cambia la Costituzione, la Costituzione prima e dopo la Riforma, le risposte alle critiche e ai quesiti, la risposta del Ministro Boschi allo studente catanese e altro ancora.
Chiudiamo la lunga parte dedicata alla Riforma ricordando che nei cinque mesi di Campagna Elettorale per il SI al Referendum il Comitato cassinese "Cassina dice SI" organizza diversi appuntamenti pubblici, a partire dai Giovedì sera, con dibattiti e approfondimenti e tutti i Venerdì e i Sabato mattina in Piazza Decorati e Via Milano per raccogliere le firme a sostegno del SI al Referendum.
Continua il viaggio nelle città sgovernate dal Movimento 5 Stelle. In questo video i fallimenti di gela e Ragusa in quest'altro invece i guai ad Assemini, Porto Torres e Quarto

Questa settimana poche informazioni su Cassina de Pecchi. In questi ultimi giorni che ci separano dal 31 Maggio (quando si chiuderà la Campagna per recuperare i luoghi dimenticati) vi ricordiamo solo l'importanza di continuare a scrivere all'indirizzo di posta elettronica bellezza@governo.it segnalando il Mulino Dugnani di Sant'Agata come struttura da valorizzare e allegando alla mail qualche foto del Mulino (foto che alleghiamo insieme al Progetto definitivo).

Abbiamo aperto la Newsletter con una notizia drammatica, chiudiamo con un pò di ottimismo e di allegria. 
In mezzo alle tante difficoltà quotidiane, nel bel mezzo di un periodo di piccola e lenta ripresa economica e dopo esserci lasciati alle spalle una crisi che ha colpito duro, nella frazione di Sant'Agata, contro qualsiasi previsione, apre una nuova attività commerciale. Due giovani ragazzi tra qualche giorno inaugureranno un negozio di parrucchiere - estetista sotto i portici di Via XXV Aprile. Una scommessa, una sfida, un investimento fatto proprio nella frazione che è stata abituata negli ultimi anni a vedere chiudere le saracinesche dei negozi, non ad aprirne di nuove. Un segnale positivo, un bel segnale davvero. Sono queste le cose di cui abbiamo bisogno non solo a Cassina de Pecchi, ma nell'Italia intera. Coraggio e fiducia. E noi ovviamente, come Amministrazione Comunale, non possiamo che esserne felici e dove possibile continuare con una politica di sostegno allo sviluppo delle piccole attività di vicinato che sono il cuore pulsante di una comunità. 

venerdì 27 maggio 2016

Articolo Odifreddi, risposta numero due

Il NO dell’insigne matematico Odifreddi sollecita un episodio avvenuto nella mensa della fabbrica, dove lavoravo come operaio. In quella mensa gli impiegati mangiavano nelle stoviglie di ceramica, gli operai in quelle di alluminio. A Liberazione avvenuta il Consiglio di Gestione eliminò d’ufficio tale differenza, attuando la parità di trattamento per tutti. Non tutti gli impiegati accettarono di buon grado tale provvedimento, mugugnando contro il privilegio perso. Nella proposta di un capo-reparto di abolire la mensa in cambio di soldi da pattuire con la direzione, pregustavano la rivincita. La commissione interna con l’appoggio degli operai si oppose con decisione. Questo per dire che il NO del cittadino matematico porta con sé, come certi impiegati in Galileo, il malcontento del ceto- medio, che ha perso anche alcuni privilegi attuati da un capitalismo morente. A mio avviso non va sottovalutata la decisione per il NO di un uomo di scienza. Esso appartiene al ceto medio-alto le cui opinioni possono influenzare non solo qualche sprovveduto, ma può incidere anche sulla politica del dopo referendum, indipendentemente dall’esito. Al NO di questo cittadino è bene ricordare che la sua decisione, a mio avviso, non tiene conto della politica berlusconiana che ha portato l’Italia sull’orlo di un baratro disastrato, non solo economico, ma anche dell’irrefrenabile corruzione (tutt’oggi molto presente) che ha danneggiato non poco lavoratori e ceto medio, oltre al diffondersi della cultura individualista. Il suo NO esprime anche un profondo malcontento del ceto medio che tarda a comprendere “ l’enormità di potere del mercato finanziario che si è concentrato nelle mani di una ristretta (sottolineo ristretta) oligarchia esonerata di ogni responsabilità politica e morale” (Reiclin, sull’Unità del 3 agosto 2011). E’ questo il vero pericolo per la democrazia, non il giovane premier Renzi che con il suo dinamismo e la fiducia in se stesso, ha portato aria fresca in un paese anchilosato, incapace di rinnovarsi. Così il matematico non avendo il coraggio di opporsi concretamente all’oligarchia finanziaria, rivolge il proprio livore verso l’attuale premier che, pur con gli immancabili errori ha il grande pregio di tentare di dare, non solo speranze ma anche lavoro agli italiani. Il governo ravvisa nella Costituzione alcuni articoli da riformare per renderli più efficaci per il cambiamento dell’Italia. Adattare la Costituzione alla situazione esistente non mi sembra che sia un reato e nemmeno il pericolo di un nuovo totalitarismo. Una famosa frase nel romanzo “Il gattopardo” recita “che tutto cambia perché niente cambi” invece Renzi invita a votare SI per realizzare un vero cambiamento! Lo chiede dimostrando quanto ha realizzato in due anni il governo in carica, senza dimenticare del ruolo positivo della politica italiana in Europa, più ascoltata e considerata per le sue concrete proposte. Senza nulla concedere al canto delle sirene che auspicano interventi armati in politica estera e il razzismo verso gli emigranti. Tutto questo non mi sembra poco!



PS- Conservo un mio scritto dal titolo Vorrei del gennaio 2014, in cui auspico (addirittura!) la riforma del primo articolo della Costituzione.


Silvestre Locoonsolo (stanza 132)
Pessano con Bornago 23 maggio 2016


Articolo Odifreddi, risposta numero uno

Il professor Odifreddi non conosce mezze misure, forte delle sue competenze logico-matematiche (che non ammettono incertezze benché tutto lo sviluppo scientifico del secolo scorso muova da concetti come l’incertezza, l’indeterminazione e la probabilità) spara subito ad alzo zero contro Renzi che avrebbe compiuto ‘un salto di qualità della politica autoritaria’ perchè ‘alle leggi ad personam di Berlusconi ha fatto seguire addirittura la Costituzione ad personam’, non solo, ma ‘offende l’elettorato’ chiamandolo al referendum. Da queste granitiche ed indiscutibili premesse - Renzi è autoritario e quando chiama gli elettori ad esprimersi sulla riforma della Costituzione li offende - quali fossero assiomi, consegue tutto il resto, nel tentativo –goffo e disonesto come cercherò di spiegare in seguito- di convincere i lettori delle sue certezze.
La prima argomentazione del suo dichiarato No al referendum sta nel fatto che mentre la Costituzione del ’48 fu scritta da una Assemblea Costituente, eletta col sistema proporzionale, questa riforma viene partorita da un Parlamento eletto col sistema maggioritario detto Porcellum, poi dichiarato decaduto da un pronunciamento della Corte Costituzionale. Il professore sa che la Corte non annullò le elezioni precedenti e non  dichiarò decaduto il Parlamento così eletto, ma tale presa d’atto si chiude lì e non dà luogo alla sola conclusione degna di logica, che cioè il Parlamento che ha votato la riforma della Costituzione era legittimato a farlo. Per ovviare a quello che a lui pare un particolare trascurabile, si aggrappa alla ‘decenza politica’ che avrebbe dovuto richiedere al Parlamento di occuparsi (nei cinque anni di mandato, immagino) della sola ‘ordinaria amministrazione’. Gli elettori, secondo il nostro, avrebbero dato mandato ai parlamentari di non impegolarsi in faccendee che non gli spettavano (la Riforma costituzionale, per l’appunto, ed altri trascurabili provvedimenti, tipo il lavoro, i diritti civili, il processo civile, la scuola e così via) ma solo in ordini di servizio ai funzionari per ‘l’ordinaria amministrazione’. Quasi 20.000 € annui cadaun parlamentare per produrre … scartoffie inutili.  
Il secondo argomento forte che dovrebbe dare dignità a questo digninar di denti, il professore lo ha ripreso paro paro dall’armamentario noto delle destre: Renzi ‘non è stato eletto in Parlamento’  ed è stato nominato capo del governo con un ‘colpo di Stato istituzionale’ del Presidente della Repubblica (lui non lo nomina, ma subito gli rinfreschiamo la memoria, si tratta del noto golpista Napolitano). Il nostro non conosce bene il testo costituzionale in  vigore, perciò provvediamo subito a colmargli la lacuna: non occorre essere parlamentari per essere nominati alla carica di  Presidente del Consiglio o ministro della Repubblica. 
Nella terza argomentazione il prof perde ogni ritegno (al carattere, si sa, non si comanda) e si lancia impavido contro Renzi con una serie di contumelie che dovrebbero suscitare un sano sentimento di opposizione, ma che portano il segno di una mancanza di equilibrio e di buon senso; eccone alcune perle: ‘la riforma costituzionale è stata pensata e imposta in modo raffazzonato e autoritario proprio da un presidente del Consiglio di tal fatta (?), Renzi bullo del quartierino, le guasconate del presidente del Consiglio, tradire il mandato che avevano ricevuto dagli elettori di centro-sinistra (i parlamentari del PD), progetto autoritario di Renzi, la riforma costituzionale è il parto di un “un uomo solo al comando”, non eletto e incompetente, sostenuto da manipoli di parlamentari voltagabbana, che sono stati eletti in maniera incostituzionale’.  Chiude quindi il nostro con la perentoria affermazione che ‘il progetto renziano si riduce in sostanza al tentativo di sostituire la “governabilità” alla “democrazia”, che gli attivisti come lui prediligono il far presto al pensare bene, e che la governabilità sia da sempre il cavallo di battaglia degli “uomini forti” che hanno già provato, con maggiore o minore successo, a disinnescare o silenziare la democrazia in Italia: da Mussolini a Craxi a Berlusconi. 
Pare di capire che il nostro pensi che i governi non siano fatti per governare ma per discutere, magari all’infinito, pur che non se ne venga mai a capo. Ma una democrazia asfissiata da molte chiacchiere e poche decisioni si risolve nel suo contrario. Se si dimostra un sistema incapace di prendere decisioni in tempi utili perde credibilità e fiducia e innesca populismi di ogni tipo, cioè scorciatoie illusorie e pericolosa.
Il finale, degno di tanto pensiero, è che ‘se non ci saranno abbastanza altri elettori a dire “no”, quella sarà la nostra ultima occasione di dire “no”. Poi ci toccherà cantare “sì” tutti in coro a chi governerà col 20% dei voti, incurante del democratico dissenso dell’80%’. Insomma se il ragionamento non convince tanto vale usare il vecchio trucco del catastrofismo, buono per tutte le stagioni e per tutti i palati.
Che pena, professor Odifreddi, una mente votata alle scienze logico-matematiche che si perde così miseramente in luoghi comuni, improperi e vaniloqui, non appena varca la soglia del proprio specialistico sapere per avventurarsi nel vasto territorio della vita. Tranquillo, avrà altre occasioni anche dopo il referendum per dire tutti i ‘no’ che vorrà.

Marino Contardo

Riforma Costituzionale, il parere del matematico Odifreddi

Il passaggio da Berlusconi a Renzi coincide con un salto di qualità della politica autoritaria, che alle leggi ad personam del primo ha fatto seguire addirittura la Costituzione ad personam del secondo. Una Costituzione alla quale io sono contrario, e contro la quale voterò “no” al referendum confermativo, perché mi sembra che essa offenda l’elettorato su tre piani diversi: per il “chi”, il “come” e il “cosa”.
Il “chi” si riferisce ai soggetti politici che hanno voluto, stilato e votato la riforma. Non si deve infatti dimenticare che la Costituzione entrata in vigore il 1 gennaio 1948 era il frutto di un anno e mezzo di lavoro di un’apposita Assemblea Costituente, che da un lato aveva appunto ricevuto l’esplicito mandato di scrivere la Carta, e dall’altro lato era stata eletta in maniera proporzionale in un’elezione alla quale partecipò la quasi totalità (l’89%) degli elettori aventi diritto.
La riforma costituzionale sottoposta a referendum è stata invece approvata, anzitutto, da un parlamento eletto in maniera maggioritaria nel 2013, con il cosiddetto Porcellum. Grazie al premio di maggioranza da esso attribuito, alla Camera la coalizione di centro-sinistra ha ottenuto 345 seggi su 630 con il 29,55% dei voti espressi, la coalizione di centro-destra 124 seggi con il 29,18% dei voti, e il Movimento Cinque Stelle 105 seggi con il 25,56% dei voti.
A quell’elezione ha partecipato solo il 75% degli aventi diritto. In realtà, dunque, sia il centro-sinistra che il centro-destra non rappresenta(va)no in Parlamento che il 22% circa degli elettori, e il Movimento Cinque Stelle il 19% circa: tutte piccole minoranze, cioè. Ma il centro-sinistra ha comunque ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera, grazie appunto all’indegna legge maggioritaria.
Come se non bastasse, la Corte Costituzionale ha dichiarato in seguito incostituzionale l’abnorme premio di maggioranza da essa assegnato, pur non annullando le elezioni e non dichiarando decaduto il Parlamento eletto con la “legge truffa”. La decenza politica avrebbe comunque richiesto che un tale Parlamento si limitasse a gestire l’ordinaria amministrazione, invece di arrogarsi addirittura il diritto di cambiare una Costituzione approvata a suo tempo nei ben diversi modi descritti sopra, e per cambiare la quale l’elettorato non aveva dato alcun mandato esplicito.
Alla faccia della decenza, a volere e a fare la riforma è stato invece un Partito Democratico che rappresenta soltanto il 25% dei voti espressi, pari a circa il 18% degli aventi diritto (dunque, meno del Movimento Cinque Stelle), ma che ha alla Camera ben 297 seggi, ottenuti grazie a un premio di maggioranza che però veniva assegnato alle coalizioni, e non ai partiti! Peccato che quelle coalizioni ora non esistono più, perché si sono sfaldate nei tre anni di legislatura, con la conseguente transumanza di deputati e senatori da un gruppo parlamentare all’altro.
Per completare il quadro va ricordato che il governo è presieduto da Matteo Renzi, che non era candidato alle elezioni del 2013, e ha scalato Palazzo Chigi grazie alle sole primarie di fine 2013 per la segreteria del Partito Democratico: elezioni alle quali hanno preso parte meno di tre milioni di elettori, cioè solo circa il 6% dell’elettorato, meno di due milioni dei quali hanno votato per Renzi.
L’attuale presidente del Consiglio non è stato dunque eletto dal basso, dagli elettori, nonostante da decenni in Italia sia appunto in vigore un sistema elettorale maggioritario. Ed è stato invece nominato dall’alto, direttamente dal presidente della Repubblica, con un colpo di mano che si può vedere come un “colpo di Stato istituzionale”: probabilmente conforme alla lettera della Costituzione, ma sicuramente contrario allo spirito della legge elettorale vigente.
Passando al “come” della riforma costituzionale, essa è stata pensata e imposta in modo raffazzonato e autoritario proprio da un presidente del Consiglio di tal fatta. Il quale ha disatteso e tradito il suo ruolo di “capo dell’esecutivo”, esautorando e spodestando sistematicamente il Parlamento dal proprio ruolo di “organo legislativo”. Incurante del fatto che la divisione dei poteri richieda invece che a proporre e approvare le leggi debba essere il Parlamento, e che il governo debba appunto eseguirle e attuarle.
Con il comportamento tipico più del bullo del quartierino che del padre della Patria, Renzi ha fin dall’inizio cercato di imporre in aula non un progetto di Costituzione meditato ed equilibrato, con i pesi e contrappesi tipici della democrazia, ma una serie di pensate a girandola che sognava la sera e pretendeva che fossero approvate la mattina: ogni volta “mettendoci la faccia”, ogni volta perdendola regolarmente, ma non traendo mai alcuna volta le necessarie conseguenze politiche del mancato mantenimento delle proprie promesse da marinaio.
Invece di affidarsi agli esperti, dai costituzionalisti (che per lui hanno il grande torto di aver passato la vita a studiare appunto le costituzioni) ai teorici delle scienze sociali (dei quali probabilmente non ha mai nemmeno sentito parlare), ha preferito etichettarli tutti come “professoroni”, e opporre loro il motto di una delle sue peggiori ministre: il “porto in dote la mia inesperienza” della raccomandata veltroniana Marianna Madia, che come lui avrebbe più propriamente dovuto parlare di pura e semplice ignoranza, più che di inesperienza.
Le guasconate del presidente del Consiglio hanno ricevuto solo una debole e pavida opposizione da parte dei parlamentari del Partito Democratico, la maggioranza dei quali non ha avuto problemi a tradire il mandato che avevano ricevuto dagli elettori di centro-sinistra, sulla base di un programma elettorale contrapposto a quello di centro-destra imposto dal loro nuovo segretario. Ma il conseguente sfaldamento della coalizione di centro-sinistra ha reso necessario il procacciamento di voti all’esterno del partito, e per attuare il suo progetto autoritario Renzi si è dovuto rivolgere in soli due anni a ben tre altri guasconi: Silvio Berlusconi agli inizi, Angelino Alfano nel mezzo, e Denis Verdini alla fine.
La riforma costituzionale è dunque il parto di un “un uomo solo al comando”, non eletto e incompetente, che presiede un governo a maggioranze tanto variabili quanto il vento, che è sostenuto da manipoli di parlamentari voltagabbana, che sono stati eletti in maniera incostituzionale. A bocciare la riforma con un sonoro “no” basterebbe dunque la constatazione che “il modo ancor ci offende”: espressione, questa, di qualcuno che non a caso ci teneva a sottolineare di essere florentini natione, non moribus.
Ma oltre il “chi” e il “come”, a offendere è anche il “cosa” della riforma: cioè, il suo contenuto, indipendentemente da chi l’ha voluta e dal come è stata approvata. In particolare, la sostanziale abolizione del Senato costituisce l’altra faccia della medaglia dell’Italicum: un’ennesima “legge truffa” elettorale, che non a caso ricorda nel nome un altro grave disastro del nostro paese.
La “giustificazione” propagandistica per la riduzione del Parlamento alla sola Camera è duplice: nell’attuale sistema ci sarebbero due rami uguali, che raddoppiano i tempi di approvazione delle leggi. In realtà, il Senato non è mai stato uguale alla Camera, come dimostra appunto il fatto che le leggi rimbalzassero dall’uno all’altra: cambiavano infatti l’elettorato attivo, il sistema d’elezione e il numero degli eletti. E comunque il problema del nostro paese non è mai stato l’abnorme numero di leggi approvate, ma la loro infima qualità.
Il paese, semmai, avrebbe molto più bisogno del sano “meglio meno ma meglio” di Lenin, che non dello sciocco, e soprattutto falso, “meglio qualcosa che niente” di Renzi. Perché è sicuramente vero che per migliorare si debba fare qualcosa, ma non è affatto vero che qualunque cosa si faccia è un miglioramento.
Nella fattispecie, il progetto renziano si riduce in sostanza al tentativo di sostituire la “governabilità” alla “democrazia”. Renzi gioca sulle parole, al riguardo. In parte per indole, perché gli attivisti come lui prediligono il far presto al pensare bene. E in parte per furbizia, perché per gli industriali che lo sostengono (Marchionne, Elkann, De Benedetti, Farinetti, eccetera) è più facile trattare nell’ombra con un governo decisionista che risponde solo a loro, che non con uno democratico che risponda invece agli elettori.
Purtroppo per Renzi, ma soprattutto per gli italiani, governabilità e democrazia “insiem non puossi per la contraddizion che nol consente”. Non è un caso che la governabilità sia da sempre il cavallo di battaglia degli “uomini forti” che hanno già provato, con maggiore o minore successo, a disinnescare o silenziare la democrazia in Italia: da Mussolini a Craxi a Berlusconi.
E’ proprio perché la governabilità tende per sua natura a contrapporsi alla democrazia, che dico “no” alla riforma costituzionale di Renzi: perché non vorrei perdere in futuro il diritto democratico di dire “no” al bullo politico di turno. Ma se non ci saranno abbastanza altri elettori a dire “no”, quella sarà la nostra ultima occasione di dire “no”. Poi ci toccherà cantare “sì” tutti in coro a chi governerà col 20% dei voti, incurante del democratico dissenso dell’80%.
Ps. Allego qui una videointervista su questi stessi temi.

Sintesi dell'intervento del Premier Renzi al sesto e ultimo voto sulla Riforma Costituzionale

Che cosa è questa riforma? Cambia la composizione del Senato, cambia il rapporto di fiducia tra le Camere e il Governo, viene riservato alla sola Camera dei deputati, cambia lo status di senatore,  cambiano le funzioni del Senato. Il bicameralismo paritario viene meno. Il procedimento legislativo viene reso più semplice anche se con possibili problematiche specie in una prima fase.  Non si toccano i sistemi di pesi e contrappesi. Viene modificata la norma sull'elezione del Capo dello Stato. E' ilParlamento in seduta comune elegge il Capo dello Statosenza l'integrazione della composizione con i delegati regionali, ma sono modificati i quorum per l'elezione. Si interviene pesantemente sul Titolo V, rendendo lo Stato responsabile maggiore su voci tipo infrastrutture, ambiente.. Viene soppressa la competenza legislativa concorrente, è introdotta una riserva alla legge statale per la definizione degli indicatori dei costi e fabbisogni standard, si sopprimono alcuni Enti.
Si domandino, i signori del Parlamento, se l'utilizzo strumentale della discussione parlamentare è venuto da chi è stato pronto al dibattito e al dialogo in tutte le sedi e  forme o da chi ha proceduto a portare 83 milioni di emendamenti, con l'unico obiettivo di non discutere nel merito quelli su cui si poteva trovare un punto di convergenza.  Sono state tante e numerose le modifiche che sono state introdotte da questo dibattito parlamentare.
La superficialità, l'improvvisazione di chi si trova a proprio agio fuori dalle Aule del Parlamento molto più che dentro, nel dibattito costituzionale, è un elemento sul quale i cittadini sapranno riflettere, anche perché in tanti dicono: andiamo fuori del Parlamento per chiedere che prima o poi si vada a votare. Quando andremo a votare, tanti di loro resteranno fuori dal Parlamento e non credo che sarà un problema per la stragrande maggioranza degli elettori medesimi.
Credo che ci sia bisogno di togliere due elementi dal campo prima di entrare nel merito della discussione dei tanti punti (25) che le opposizioni hanno segnalato.
si dice che questa è la Costituzione più bella del mondo e che è intoccabile.  Il dibattito in Assemblea costituente e negli anni immediatamente successivi non conteneva frasi di questo genere.
Meuccio Ruini, 22 dicembre 1947, parla all'Assemblea costituente in qualità di relatore del testo e dice: la seconda parte della Costituzione, Ordinamento della Repubblica, ha presentato gravi difficoltà, non abbiamo risolto tutti i problemi istituzionali, ad esempio per la composizione delle due Camere e per il sistema elettorale. Lo dice il 22 dicembre del 1947.
In quel dibattito va ricordato che della sinistra cattolica furono numerosi gli interventi dei professori, i professorini, come li chiamavano, in sede di Assemblea costituente, ma vi furono degli appuntamenti immediatamente successivi, come il convegno dell'Unione Giuristi Cattolici del 1951; fu il primo intervento di La Pira da sindaco o di Giuseppe Dossetti  al convegno nazionale di studi dell'Unione Giuristi Cattolici del 1951 in cui cita della crisi del sistema costituzionale italiano, tre anni dopo.
la riforma non doveva essere proposta dal Governo, le riforme costituzionali devono essere d'iniziativa strettamente parlamentare. E' una critica profondamente ingiusta.
Già Umberto Terracini nella seduta di Sottocommissione del 15 gennaio 1947 rispose a chi contestava la possibilità che il Governo avesse l'iniziativa anche sui temi della revisione costituzionale, mettendola ai voti.
La Sottocommissione votò la proposta Terracini, approvandola.

Critiche da parte delle opposizioni:
le riforme costituzionali si fanno tutti insieme. noi non abbiamo cambiato idea rispetto al testo che oggi andiamo a votare. Il venir meno alla parola data e all'impegno preso non ha a che vedere con il contenuto della revisione costituzionale, ma con l'elezione a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella, contro i desiderata del leader di quel partito facente parte del Parlamento.
nel varare le riforme sono state fatte, in Parlamento, forzature inaccettabili. Credo che l'unica forzatura realmente fatta sia stata presentare 83 milioni di emendamenti. Non avevamo alternative per andare avanti  di utilizzare anche tutti gli strumenti del Regolamento per poter arrivare a conclusione, altrimenti sarebbe stato il blocco.
la riforma è stata fatta in modo affrettato. Sono passati esattamente 30 mesi, sei letture parlamentari, esami e votazioni, prima in Commissione e poi in Aula, migliaia di emendamenti; non si ricorda nella storia costituzionale un dibattito così lungo e prolungato per questa revisione costituzionale.
la riforma è illegittima perché votata da un Parlamento eletto sulla base di una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale. Si fa riferimento alla sentenza n. 1 del 2014. In tale sentenza, la Corte costituzionale esprime in modo chiaro che l'illegittimità della legge - Calderoli, quella giudicata illegittima -  non travolge la legittimazione giuridica né politica delle Camere della XVI legislatura. Questo è il dettato della sentenza della Corte costituzionale.  A questo si aggiunge non soltanto la volontà del Parlamento che avrebbe potuto prendere una decisione diversa, ma anche le considerazioni conformi dell'allora Presidente della Repubblica e dell'attuale Presidente della Repubblica.
il Governo e la maggioranza non avrebbero dovuto chiedere o auspicare il referendum. Sì la Costituzione permette, come garanzia democratica, a una minoranza parlamentare del 20 per cento di chiedere il referendum confermativo, ma questo non impone o non esclude che altri parlamentari possano chiedere che si vada a votare su questo.
 Aggiungo: è stato frutto di un accordo politico. Il Governo è andato in Aula, in Senato, sulla base di una richiesta dei capigruppo della maggioranza. I capigruppo ci chiesero di prendere un impegno solenne, come Governo e maggioranza, per andare al referendum confermativo.
non si doveva fare del referendum oggetto di una strumentalizzazione politica, legando a questo la vita del Governo. È una critica che è rivolta, in particolar modo, alla mia persona e alle dichiarazioni che ho fatto fin da qualche mese fa. Vorrei confermarle e ribadirle. L'accettazione dell'incarico di Presidente del Consiglio è stata subordinata all'impegno preso con il Presidente della Repubblica e con i deputati e i senatori a realizzare una serie di riforme. Nel momento in cui sulla più importante di queste riforme non vi fosse il consenso popolare tale da far cadere il castello della riforma stessa, è principio di serietà politica trarre le conseguenze.

 la riforma crea troppe incertezze, creerà contenzioso. Non vi è dubbio che vi siano dei punti che dovranno essere chiariti. Qualsiasi riforma contiene dei margini di incertezza per definizione, a raffronto  con un testo che vige da quindici anni o da settant'anni.
avete fatto una riforma della Costituzione per risparmiare. Credo che chi ha seguito il dibattito degli ultimi vent'anni sa che il problema della semplificazione delle regole del gioco democratico non deriva da un'esigenza di natura economicistica.

la riforma mette le istituzioni in mano a una sola forza politica, in particolar modo in combinazione con l'approvazione di una nuova legge elettorale.
- altre critiche: 
Si dice che la clausola di supremazia prevista dal comma 4 del nuovo articolo 117, del 117 novellato, avvilisce l'autonomia regionale: io dico che ne costituisce elemento di garanzia. Si dice che i limiti alle regioni in materia di costi della politica umiliano l'autonomia delle regioni: credo che esaltino la dignità dell'essere consiglieri regionali, Si dice – lo fanno anche autorevoli professori - che la scelta di abolire la legislazione concorrentecostituisce un errore: io credo che sia stato un clamoroso errore aver impostato la concorrente come è stato fatto con la riforma del 2001. Si dice che non sono state riformate le regioni a statuto speciale; vero : non sono state riformate. In parte perché in un caso vi è un Trattato di natura internazionale: provincia autonoma di Bolzano; ma anche perché non vi era in questo Parlamento una maggioranza sufficiente ad approfondire questa discussione;
-Le ultime due questioni. Non è opportuno che il Senato elegga due giudici della Corte: è stata una discussione su cui Camera e Senato hanno vivacemente pugnato. Credo che si sia trovato un compromesso che assicura alla Corte costituzionale un livello di qualità indiscutibile. E infine, chel'elezione del Presidente della Repubblica non è ben disciplinata. Qui occorre mettersi d'accordo: se si vuole che nessuna forza politica da sola posso di norma eleggere il Presidente, salvo che conquisti una valanga di voti imprevedibile, occorrono dei quorum alti. La riforma fa questa scelta, e prevede che non si possa mai scendere sotto i tre quinti dei votanti.  
 Vi sono molte altre critiche ma devo concludere. Ma c’è un punto politico sul quale vorrei davvero chiudere. Il 12 marzo 2014, 20 giorni  dopo aver ottenuto la fiducia, abbiamo chiesto alle forze vive del Paese di esprimersi con il metodo del confronto. Abbiamo fatto seminari, incontri; poi abbiamo licenziato un testo in Consiglio dei ministri, in linea con ciò che il Governo era chiamato a fare dal punto di vista politico e costituzionalmente messo in condizione di fare per le valutazioni di Terracini e per il voto della sottocommissione dell'Assemblea costituente del 15 gennaio 1947. A quel punto è partito un dibattito, che è stato più corposo di quello dell'Assemblea costituente.
Si può essere d'accordo o meno con il lavoro al quale il Parlamento è arrivato, ma quello che deve essere chiaro è che oggi vince la democrazia. Lademocrazia non significa cercare di non far votare gli altri, la democrazia non si chiama ostruzionismo, la democrazia si chiama confronto, discussione punto per punto sugli argomenti critici, e poi espressione libera e democratica di voto.
Sostenere che vi sia stata una lesione della democrazia perché oggi il Parlamento sceglie, sulla base del modello previsto dalla Costituzione italiana, di modificare la Costituzione, significa avere una visione della democrazia che è tipica di chi non ha letto la Costituzione e i lavori preparatori della medesima.
Uno può dire che non è d'accordo su tutto, può dire che non è d'accordo su niente, può votare a favore o votare contro, ma scappare dal dibattito è indice di povertà sui contenuti. Lo dico perché so che la campagna referendaria non discuterà soltanto di contenuti. Non discuteremo soltanto di singole norme o di valutazioni giuridiche, non citeremo Mortati o La Pira, discuteremo anche di argomenti più demagogici, più popolari, spero non populisti; discuteremo anche di questo, perché anche di questo è fatto il confronto democratico.
Noi non pensiamo di aver fatto tutto bene, ma siamo certi che aver adempiuto a un obbligo morale, giuridico – perché su questo si giocava il voto di fiducia –, politico e culturale,  dimostra che la classe politica può cambiare se stessa, è stato l'unico modo con il quale noi possiamo essere degni di rappresentare il popolo italiano.
Saranno i cittadini italiani a decidere se finalmente l'Italia vuole entrare nel futuro, anche istituzionale.
Quello che io voglio dirvi con umiltà e rispetto è che finalmente, dopo molti anni, la classe politica dà una lezione di serietà e di civiltà. L'avete fatto voi, nessuno ci avrebbe scommesso in quell'aprile del 2013; io, a nome del Governo, non posso che darvene atto.

Antonietta Pensato







domenica 22 maggio 2016

Diariro di Bordo, Governare è una cosa seria.

Apriamo subito questa diciassettesima Newsletter del Pd di Cassine de Pecchi parlandovi di una sfida difficile ma affascinante, improbabile potrebbe dire qualcuno, ma sulla quale metteremo tutto il nostro impegno, come ogni cosa che facciamo: Cassina de Pecchi prova ad accedere al finanziamento che il Governo ha messo a disposizione per i luoghi pubblici "dimenticati" con un Progetto di rilancio di un luogo che ha una gran bella storia tutta da scoprire, il "Mulino Dugnani" di Sant'Agata. Per farlo ci serve il sostegno e l'aiuto di tutti i cassinesi, con una semplice mail, contiamo sul vostro aiuto

Intanto, alle spalle, ci lasciamo un'edizione 2016 di Fragolosa riuscitissima. 10000 visitatori hanno invaso il centro del paese Domenica scorsa, un successo da record. I commenti dei giornali raccolti da Federico Bianco per quello che da molti cassinesi è stato definito l'Evento più partecipato di tutti i tempi

Feste, progetti e iniziative varie non sono le uniche cose di cui ci stiamo occupando: sul tavolo decisioni importanti per un 2016 improntato all'impegno concreto per la Città. Nelle settimane scorse abbiamo presentato le agevolazioni fiscali per le famiglie, oggi vi presentiamo una parte importante del Bilancio di Previsione 2016, avanti tutta sul sociale

Qualche settimana abbiamo raccontato la partecipazione di Cassina de Pecchi a un Convegno all'Università Cattolica. Oggi condividiamo il testo della Lettera che è stato letto a quel Convegno dalla nostra concittadina che ha permesso la realizzazione del Progetto Ti Ospito a Casa Mia
Una settimana di Eventi per la Festa Patronale di Santa Maria Ausiliatrice, in allegato il volantino con il programma dettagliato. 

Rimaniamo ancora a Cassina de Pecchi ma solo per dirvi che è nato ufficialmente il Comitato cassinese per il SI al Referendum Costituzionale d'Ottobre, "Cassina dice SI". Il Comitato, presieduto da Giovanni Mele, si incontra tutti i Giovedì sera presso gli spazi al terzo piano della Cooperativa "La Speranza". Il Comitato è aperto alla partecipazione di tutti e al momento è impegnato in una fase di studio della Riforma stessa, contatti cassinadicesi@gmail.com

Intanto i contenuti della Riforma in questo articolo del Presidente Mele. Ma le buone ragioni per il SI si sprecano sui quotidiani e tra gli opinionisti. L'analisi più esaustiva che vi proponiamo quest'oggi è quella di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 15 Maggio. Oggi i leader del Governo in Piazza  per lanciare la Campagna Nazionale per il SI. Il Partito Democratico, naturalmente, si mobilita a sostegno del SI con i materiali informativi



Il lavoro parlamentare nel frattempo non si ferma. 

Il Senato approva la riforma del sistema dei controlli delle ‪#‎AgenzieAmbientali‬ e dell’ISPRA

Fuori i ‪#‎bambini‬ dal ‪#‎carcere‬: questo l’obiettivo della proposta di legge che il Pd ha depositato nei due rami del Parlamento

Grande soddisfazione per l'utilizzo del 100% dei Fondi #europei anche per il settennio 2007 - 2013

Chiudiamo con il video Apocaypse M5S realizzato dal Partito Democratico che spiega le 15 crisi sulle 17 Amministrazioni a guida Movimento 5 Stelle. Lo facciamo giusto per ricordare come si sta sgonfiando, nei fatti, la tanto conclamata "politica" del click e di quelli che volevano "aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno". Del resto, governare e rapportarsi con i problemi quotidiani è una questione seria.

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