In
occasione della celebrazione del 9 maggio Giornata dell’Europa ci
chiediamo chi ha il coraggio oggi di credere ancora nel significato
del motto creato 16 anni fa per l’Unione e degli altri simboli che
dovrebbero sostenere la debole identità e la scarsa appartenenza dei
cittadini europei.
Non
siamo riusciti tanto bene a “ fare gli italiani” una volta fatta
l’Unità d’Italia, difficoltà anche maggiori abbiamo avuto a
fare gli europei dopo la creazione dell’UE. Sotto i nostri occhi
indifferenti e inconsapevoli l’Europa sembra un laboratorio
dismesso: è un progetto che sta invecchiando male e in molti paesi (
Austria, Francia, Olanda, Italia) prendono vigore le forze populiste
e antieuropee mentre tra poco un referendum britannico potrebbe
decretare l’uscita del Regno Unito dall’UE. L’anniversario
della Dichiarazione Schuman sull’integrazione europea e della
capitolazione dei burattinai del nazismo giace praticamente
dimenticato.
Per
chi si fa qualche domanda la storia insegna che la caduta dell’impero
romano non avvenne per una semplice pressione di barbari ai suoi
confini, ma per il vuoto morale al suo interno, perché (Plutarco) i
grandi dei del passato erano morti e ne erano tramontati i valori
fondativi. Nell’epoca dell’anarchia feudale fu poi la Chiesa dei
monasteri e delle abbazie a mettere in salvo una cultura condivisa e
a tenere le redini di una società allo sbando.
Al
cospetto di un’anarchia culturale, prima ancora che politica,
oggi è papa Bergoglio, insignito del premio Carlo Magno, a difendere
con coraggio il vecchio progetto di unione politica e culturale
dell’Europa.
Una
voce nel deserto?
Marck
Halter suggerisce: “(…)
per rilanciare il
progetto di unione ripartiamo dalle scuole”
e da un insegnamento della storia che crei una visione comune del
nostro passato”. Una rinnovata fiducia in un futuro comune, lo
sappiamo tutti, non cresce spontanea nei prati di primavera, ma va
coltivata educando i cittadini di domani.
9
maggio 2016, Franca Marchesi
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