Non giriamoci
intorno, le recenti elezioni amministrative hanno segnato un
ridimensionamento del Partito Democratico un po’ ovunque. E non ci
è di consolazione in fatto che anche il centrodestra abbia avuto i
suoi cedimenti. I 5Stelle invece gongolano, ma le brillanti
affermazioni di Roma e di Torino non riscattano i risultati fiacchi
degli altri comuni. Insomma, se valutata dal punto di vista politico,
questa tornata elettorale segna un’Italia molto frastagliata,
divisa e confusa, ove il voto si sposta, si riposiziona, torna al
punto di partenza e poi vira di nuovo, e si combina con un’astensione
in crescita dagli effetti spesso imprevedibili. Dalla società
‘liquida’, di cui parlano alcuni sociologi, alla politica
‘liquida’ il passo è breve. Sui media i commentatori ci
propinano a getto continuo analisi su analisi, in una rincorsa
continua a chi è più originale, se non a chi la spara più grossa.
Anche la comunicazione è ‘liquida’, e la risultante di tanto
affanno è zero. Se invece zoomiamo e guardiamo nel dettaglio le
singole situazioni, possiamo comprendere alcune dinamiche che
sfuggono invece in un contesto troppo generale. Laddove si è
responsabili di immobilismo, risse, malgoverno se non addirittura di
fatti corruttivi ( e qui penso a Roma e a Napoli ) non c’è rimedio
che ci possa giovare ( anche se il buon Giachetti ci ha risparmiato
da una dèbacle più dolorosa ), ove invece i candidati sono
credibili e la squadra è coesa le cose vanno meglio ( vedi Milano e
Torino ). Proseguendo nella zoomata arriviamo alle piccole realtà
locali ove imperversano le liste civiche dalla collocazione politica
incerta, che intercettano un elettorato locale deluso dai partiti
‘storici’ e facile preda di parole d’ordine general generiche
purché pronunciate da giovani promesse le cui qualità più
apprezzate sono la bella presenza, il facile eloquio e la verginità
politica. Pesano poi sul nostro deludente risultato in Martesana
diatribe locali, divisioni in fronde contrapposte, personalismi e
scarsa presenza nella vita sociale, civile e culturale dei paesi. Non
vorrei indulgere all’autobiografia, ma Cassina de’ Pecchi per
anni fu un modello di proposta politico-amministrativa per i comuni
della Martesana. Il Progetto Cassina-Sant’Agata dal 1995, per tre
tornate elettorali successive, vinse le elezioni amministrative ogni
volta superando il 50% dei voti, quando nella stesse tornate
elettorali i voti per le provinciali o le regionali vedevano i
partiti del centrodestra sfiorare il 60%. Ogni volta circa un
migliaio di elettori confluiva dal centrodestra al Progetto, e la
ragione principale era la credibilità dei candidati e il loro
radicamento nel paese. Poi venne la stagione delle divisioni e dei
personalismi, e si passò, a un anno dalla scadenza del mandato di
Sindaco di Simona Ginzaglio, al commissario e poi all’amministrazione
a guida leghista. Finita ingloriosamente anche l’esperienza
leghista, frantumata e scomposta dalle divisione interne su di un
Piano faraonico e fantasioso di governo del territorio (Pgt), siamo
tornati alla ribalta con la lista unitaria di centrosinistra Cassina
Domani e amministriamo da due anni.
Tutto questo
periodare per dire che man mano che ci allontaniamo dai piccoli
comuni, dove le ragioni di sconfitte o di vittorie sono
ragionevolmente facili da comprendere – e quindi da porvi rimedio,
sempre che la ragione ci assista – a livello più generale
prevalgono incertezza e fluidità, ed azzardare previsioni è più
affare da maghi che da politologi. Per cui, bando alle sterminate
discussioni di espertoni o di professoroni che hanno la pretesa di
spiegarti come va il mondo ( stranamente sempre a posteriori ), ma
soprattutto, e per quanto ci riguarda, bando a quei soloni della
‘sinistra’ tutti intenti a sbrodolare la loro versione della
storia a partire dalle origini, e che,per non essere stati ascoltati
a tempo debito, non hanno potuto evitare il disastro ( ‘l’avevamo
detto noi che finiva così’ ). C’è in costoro una sorta di vizio
di fabbrica, di cui per vanagloria (o per spiccioli interessi di
sopravvivenza personale) non riescono a liberarsi: provengono quasi
tutti dalla scuola storicistica italiana o dal marxismo in salsa
locale (per quanto cerchino di mascherarlo dietro boutades
modernistiche), secondo le quali da un fatto A consegue
necessariamente un fatto B, e da B si passa a C, e così via
dall’origine dei tempi fino a Renzi. Una versione semplicistica
della vicenda umana, fortunatamente in via di estinzione, ma che da
noi ancora resiste e pretende di contare. E dire che anche la
scienza, ossia il luogo del rigore e della logica, ha abbandonato da
tempo il terreno delle certezze e degli assoluti, per approdare ai
concetti di indeterminazione e probabilità, che operativamente
diventano ipotesi di lavoro e congetture sempre sottoposte a
controllo e verifica in vista di un loro superamento. Sciocchezze
come ‘è tutta colpa di Renzi e dei suoi’ vanno considerate alla
stregua di puerili espressioni di un pensiero debole, incapace di
afferrare la complessità del reale perché fissato su schemi
interpretativi ormai ossificati.
Quel che invece
possiamo sicuramente fare per contrastare questa incertezza e
fluidità dell’elettorato, sempre che lo si ritenga utile, è
sostenere il Partito Democratico come forza autenticamente
riformista, democratica e solidale. Con tutte le riserve che si
vogliono avere, e con tutte le critiche che si vogliono fare, ma in
uno sforzo direi quasi emulativo a far di meglio e di più, lasciando
fuori rancori, acredini, e ripicche personali. Quando sento qualche
capoccione della ‘minoranza dem’ chiamare a raccolta i
giornalisti per sparare ad alzo zero contro ‘Renzi’, oppure
spargere velenose insinuazioni nei confronti suoi o di qualcuno del
suo ‘cerchio magico’, mi prendono dei brutti pensieri, che per
decenza non riporto. Se si vuole stare insieme in un’impresa così
importante ci si deve metter in testa che si fa parte di un
collettivo di lavoro, che la collaborazione non esclude la
discussione, sincera ed aperta –cioè critica – allo scopo di
fare passi in avanti, possibilmente misurabili in termini di
risultati. Per mia formazione
sono refrattario ad ogni appartenenza a correnti, cordate o minoranze
e maggioranze, e prima ci disfiamo di tali inclinazioni meglio sarà
per tutti noi. Si fissano gli argomenti all’ordine del giorno, si
discutono liberamente ed in un tempo ragionevole si arriva ad una
decisione, anche a maggioranza se non possibile altrimenti. E una
testa conta quanto una testa e non rappresenta che sé stessa.
P.S. Agli arcinemici
di ‘Renzi’ che si annidano nel partito voglio solo dire che ci
sono due sistemi per metterlo fuori gioco: il primo è far vincere il
No al Referendum costituzionale di ottobre (alcuni come Bersani e
D’Alema sono già sulla buona strada), il secondo è batterlo al
congresso del Pd che si farà poco dopo. Ma fatela finita con questa
guerriglia continua, che finisce per logorare tutti.
Marino Contardo
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