martedì 3 dicembre 2013

Carenza semantica o doppiezza? Il candidato alle primarie che non voterò

Gianni Cuperlo deve essere a corto di argomenti se ancora non riesce a liberarsi da quella smania, che ha preso tanti della vecchia guardia ex-post-?-comunista, di infierire  sul giovin Matteo Renzi, che fa anche venir rabbia perchè se ne fa bellamente beffe di tanto livore. Ma c’è di più, e a mio avviso di più grave: il nostro deve avere dei problemi con la semantica, quella parte della linguistica che si occupa del ‘significato’. Significato delle parole, significato delle proposizioni, significato del discorso. A pag 11 di Repubblica di oggi infioretta la sua pseudo-intervista con affermazioni che suonano roboanti ma che poi si smontano da sé. Come quando si rivolge a Letta con “sarebbe utile una sua parola per dire al Pd che non si gioca con messaggi un giorno collaborativi e un giorno ultimativi”. Tradotto in italiano dal gergo politichese vuol dire. “Letta intervenga a tirare le orecchie a Renzi” ( e qui si potrebbe aprire un’altra disquisizione sul richiamo all’autorità per tenere a bada una persona non gradita, ma lasciamo perdere). Aggiunge poi “Non ho nessun interesse a partecipare al Congresso postumo della Democrazia Cristiana”, come dire che siccome la partita si gioca ormai tra esponenti Pd di area cattolica, Letta alla guida del governo e Renzi alla guida del partito (ma non è ancora detto), non c’è più posto per la gloriosa sinistra. Ma il Pd non doveva superare questa dicotomia ideologica in nome di un riformismo e progressismo dei fatti più che dei pensieri? Al nostro non passa neanche per l’anticamera del cervello che qualcosa a sinistra non deve aver funzionato a dovere se le uniche volte da vent’anni a questa parte che il centrosinistra ha vinto le lezioni politiche lo ha fatto sotto la guida di Romano Prodi, un cattolicone per quanto ‘adulto’, come ebbe a definirsi quando andò a votare al referendum sulla fecondazione assistita attirandosi le ire dei vescovi. Altra perla offerta con la consueta disinvoltura al pubblico ludibrio com’è d’uso nella sua cerchia, la troviamo in “Dire che non si temono le urne mentre Alfano rischia di finire asfaltato da Forza Italia diventa una sponda per Berlusconi, così non si unisce il Pd ma lo si divide”. Soccorre una traduzione comprensibile: “Renzi insiste che non bisogna temere le urne e così fa un favore a Berlusconi e divide il Pd”. A parte che Civati ancor più di Renzi spinge sul ritorno alle urne, ma non per questo fa un favore a Berlusconi e divide il Pd, l’argomento è capzioso perché non c’è relazione tra ‘non temere le urne’ e ‘favorire Berlusconi’ (a meno che non si voglia dire che non sta bene se gli italiani votano a maggioranza per Berlusconi, il che è troppo banale anche per uno come Gianni, e pertanto lo escludo), ma serve per arrivare diritto all’assunto definitivo, posto come condanna inappellabile, che Renzi favorisce Berlusconi e divide il Pd. Bel modo di rapportarsi con un compagno di partito! Ma … ma il nostro Gianni non è uno sprovveduto, viene da una scuola antica e influente, e conosce bene la semantica, sa bene che sono in gioco non visioni diverse su come far uscire il paese dal disastro, ché  utilizzerebbe termini diversi e modi più discorsivi, ma la sopravvivenza – politica, s’intende - sua e dei suoi sponsor, e perciò alterna toni ultimativi a toni rassicuranti, sempre all’insegna del general-generico  senza mai addentrarsi nei dettagli. Insomma la ‘doppiezza’ di ascendenza togliattiana, quella che ancor oggi rende oscuro e inefficace il linguaggio di tanta ‘sinistra’

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