Per
chi si chiede quali novità conterrà il provvedimento sulla “Buona scuola” che
il Consiglio dei ministri varerà il prossimo 27 febbraio, può tornare utile la sintesi di Tuttoscuola degli impegni in
materia di istruzione che, insieme a quelli riguardanti la stabilizzazione
dei precari sono indicati del documento (in inglese) ‘Riforme strutturali in Italia da settembre 2014’. lLa
Commissione UE ha già ricevuto il documento e lo esaminerà il prossimo 27
febbraio insieme alla Legge di Stabilità 2015.
Eccola (sottolineature mie):
“Vision on education has changed”,
la visione sull’istruzione è cambiata, annuncia il Governo all’inizio del
capitolo sul tema.
E in effetti sembra che si cambi sul serio. Formazione in servizio obbligatoria e valutata per tutti
i docenti, legata anche allo sviluppo della carriera (“Improvement of
teachers’ skills also with permanent formation linked to career enhancement:
teachers' careers will be based on merit instead of age”); per l’assunzione dei docenti
si terrà conto di tre
criteri: formazione, valutazione e carriera, seguendo tre livelli di
priorità: nazionale, individuale (basato sulla formazione) e a livello di
singola scuola (per la valutazione del sistema nazionale). In particolare la valutazione delle competenze
didattiche dei docenti avverrà con vari strumenti, inclusi una “formation
card” (un registro dei crediti formativi e professionali?) e questionari
sull’aspetto reputazionale compilati dagli studenti e dai genitori; estensione
della metodologia CLIL, in inglese, alla quarta e quinta classe di scuola
primaria; inserimento di economia
e diritto nelle scuole secondarie superiori (citizenship skills’ in
secondary schools, related to economic and judicial matters);
predisposizione di un indicatore, costruito in collaborazione tra le banche
dati del Miur e dell’Inps, che consenta alle scuole di valutare l’efficacia dell’insegnamento impartito
in rapporto ai successivi percorsi di studio e di lavoro degli studenti;
una maggiore trasparenza nella gestione della scuola con pubblica
rendicontazione; incentivi fiscali e procedure amministrative accelerate per
favorire gli investimenti
privati nelle scuole e nella didattica; introduzione, già dal 2015, di
una piattaforma elettronica nella quale tutte le scuole statali e paritarie
dovranno inserire informazioni per il sistema nazionale di valutazione;
incremento del numero di ispettori ministeriali (del resto meno di quelli
attuali voleva dire azzerarli: l’incremento avrà senso se il numero effettivo
attuale sarà almeno quadruplicato).
Le riforme del sistema
di istruzione fanno parte del pacchetto di riforme strutturali (‘Roadmap’)
la cui realizzazione dovrebbe assicurare un aumento del PIL quantificato
complessivamente nel 3,6%.
Il contributo maggiore verrà, secondo queste
previsioni, dalle riforme economiche (privatizzazioni, competitività) e del
mercato del lavoro (Jobs Act), molto apprezzate, e sollecitate, dall’Ocse nella
sua Economic Survey sull’Italia, presentata la scorsa settimana a Roma.
Ma un buon contributo è messo in preventivo anche per la riforma della Pubblica
Amministrazione (+0,5%) e per le riforme della giustizia e del fisco (+0,2%
ciascuna). Per quanto
riguarda la scuola l’apporto alla crescita del PIL sarebbe del +0,3%: un dato
che non sarebbe comunque da sottovalutare perché la produttività delle riforme
scolastiche si misura su tempi medio-lunghi, ben al di là del traguardo del
2020. Entro il 2020, tuttavia, si dovrebbero cogliere i primi risultati delle
politiche volte a combattere la dispersione e a migliorare il rapporto
scuola-mondo del lavoro, (TuttoscuolaNEWS n.673)
Per circa sei mesi sono stati raccolti
suggerimenti e contributi di cittadini, associazioni, gruppi e, perché no,
sindacati, nella consultazione per “La Buona
Scuola”. Non si capisce quindi perché chi non ha dato il proprio contributo
nella consultazione, si lamenti ora di non essere stato consultato. Come
appunto tipicamente si accingono a fare ii sindacati che dal 1994 per 10 anni
erano spariti senza farsi mai sentire in assenza di qualsiasi contrattazione.
Non siamo attualmente di fronte a situazioni affrontabili con procedure
tradizionali, trascurate comunque da tempo.
Oggi a fronte della
crisi e dei ripetuti tagli all’istruzione, il dato sulla dispersione scolastica
è il seguente: negli ultimi 15 anni
quasi 3 milioni di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non
hanno completato il corso di studi.
Non sembra un dato al
quale poter rispondere in modo tardivo e
parziale, semplicemente con qualche tentativo di introduzione di innovazioni
tecnologiche, senza mettere in gioco nuove configurazioni organizzative del
sistema educativo, senza ridefinire l’innovazione didattica, l’apprendimento
attivo, il protagonismo degli studenti, il pensiero critico e la ricerca.
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