martedì 24 febbraio 2015

La scuola che cambia


Per chi si chiede quali novità conterrà il provvedimento sulla “Buona scuola” che il Consiglio dei ministri varerà il prossimo 27 febbraio, può tornare utile la sintesi di Tuttoscuola degli impegni in materia di istruzione che, insieme a quelli riguardanti la stabilizzazione dei precari sono indicati del documento (in inglese) ‘Riforme strutturali in Italia da settembre 2014’. lLa Commissione UE ha già ricevuto il documento e lo esaminerà il prossimo 27 febbraio insieme alla Legge di Stabilità 2015.
 Eccola (sottolineature mie):

Vision on education has changed”, la visione sull’istruzione è cambiata, annuncia il Governo all’inizio del capitolo sul tema. E in effetti sembra che si cambi sul serio. Formazione in servizio obbligatoria e valutata per tutti i docenti, legata anche allo sviluppo della carriera (“Improvement of teachers’ skills also with permanent formation linked to career enhancement: teachers' careers will be based on merit instead of age”); per l’assunzione dei docenti si terrà conto di tre criteri: formazione, valutazione e carriera, seguendo tre livelli di priorità: nazionale, individuale (basato sulla formazione) e a livello di singola scuola (per la valutazione del sistema nazionale). In particolare la valutazione delle competenze didattiche dei docenti avverrà con vari strumenti, inclusi una “formation card” (un registro dei crediti formativi e professionali?) e questionari sull’aspetto reputazionale compilati dagli studenti e dai genitori; estensione della metodologia CLIL, in inglese, alla quarta e quinta classe di scuola primaria; inserimento di economia e diritto nelle scuole secondarie superiori (citizenship skills’ in secondary schools, related to economic and judicial matters); predisposizione di un indicatore, costruito in collaborazione tra le banche dati del Miur e dell’Inps, che consenta alle scuole di valutare l’efficacia dell’insegnamento impartito in rapporto ai successivi percorsi di studio e di lavoro degli studenti; una maggiore trasparenza nella gestione della scuola con pubblica rendicontazione; incentivi fiscali e procedure amministrative accelerate per favorire gli investimenti privati nelle scuole e nella didattica; introduzione, già dal 2015, di una piattaforma elettronica nella quale tutte le scuole statali e paritarie dovranno inserire informazioni per il sistema nazionale di valutazione; incremento del numero di ispettori ministeriali (del resto meno di quelli attuali voleva dire azzerarli: l’incremento avrà senso se il numero effettivo attuale sarà almeno quadruplicato).
Le riforme del sistema di istruzione fanno parte del pacchetto di riforme strutturali (‘Roadmap’) la cui realizzazione dovrebbe assicurare un aumento del PIL quantificato complessivamente nel 3,6%.
 Il contributo maggiore verrà, secondo queste previsioni, dalle riforme economiche (privatizzazioni, competitività) e del mercato del lavoro (Jobs Act), molto apprezzate, e sollecitate, dall’Ocse nella sua Economic Survey sull’Italia, presentata la scorsa settimana a Roma. Ma un buon contributo è messo in preventivo anche per la riforma della Pubblica Amministrazione (+0,5%) e per le riforme della giustizia e del fisco (+0,2% ciascuna). Per quanto riguarda la scuola l’apporto alla crescita del PIL sarebbe del +0,3%: un dato che non sarebbe comunque da sottovalutare perché la produttività delle riforme scolastiche si misura su tempi medio-lunghi, ben al di là del traguardo del 2020. Entro il 2020, tuttavia, si dovrebbero cogliere i primi risultati delle politiche volte a combattere la dispersione e a migliorare il rapporto scuola-mondo del lavoro, (TuttoscuolaNEWS n.673)

Per circa sei mesi sono stati raccolti suggerimenti e contributi di cittadini, associazioni, gruppi e, perché no, sindacati, nella consultazione per “La Buona Scuola”. Non si capisce quindi perché chi non ha dato il proprio contributo nella consultazione, si lamenti ora di non essere stato consultato. Come appunto tipicamente si accingono a fare ii sindacati che dal 1994 per 10 anni erano spariti senza farsi mai sentire in assenza di qualsiasi contrattazione. Non siamo attualmente di fronte a situazioni affrontabili con procedure tradizionali, trascurate comunque da tempo.
Oggi a fronte della crisi e dei ripetuti tagli all’istruzione, il dato sulla dispersione scolastica è il seguente: negli ultimi 15 anni quasi 3 milioni di ragazzi italiani iscritti alle scuole superiori statali non hanno completato il corso di studi.
Non sembra un dato al quale poter rispondere in modo  tardivo e parziale, semplicemente con qualche tentativo di introduzione di innovazioni tecnologiche, senza mettere in gioco nuove configurazioni organizzative del sistema educativo, senza ridefinire l’innovazione didattica, l’apprendimento attivo, il protagonismo degli studenti, il pensiero critico e la ricerca.

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