Eppure la Repubblica Araba di Siria è uno stato del vicino
Oriente, si affaccia sul Mediterraneo, confina con la Turchia, candidata-membro dell’UE; si trova in quella
che sui libri di storia studiamo come la Fertile Mezzaluna, culla di ogni
civiltà antica.
Eppure ormai da due anni l’orrore di
carneficine inaudite continua senza
scalfirci; ultimamente l’escalation dei massacri di civili e delle pulizie
etniche hanno trasformato il Paese in un
mattatoio.
Certo è all’opera l’inviato speciale dell’Onu
per la Siria: Brahimi ha definito la situazione “preoccupante” (sic!), mentre
povera gente in fila per il pane viene abbattuta da bombe lanciate da aerei governativi
e mentre lo stragismo più brutale colpisce decine di bambini.
Perché si facesse più “notizia” c’è voluto che
il capo della polizia militare, disertando e fuggendo verso la Turchia,
dichiarasse: “Lascio l’esercito perché ha deviato dalla fondamentale missione
di proteggere il Paese; si è trasformato in bande di morte e distruzione (…)”. C’è
voluto che dalle armi cosiddette leggere si passasse all’ipotesi di uso di armi
più estreme e suicide come quelle chimiche.
L’Osservatorio siriano dei diritti umani, con
sede a Londra, accusa blandamente la
brutalità del regime, mentre l’opposizione armata al governo di Assad perde
legittimità e avanza il fondamentalismo jihadista.
Certo, di fronte
all’opposizione di Russia e Cina a qualsiasi intervento esterno, tutte le voci
si fanno flebili, quando non addirittura
mute.
E’ in nome del
“politicamente corretto” che in casi come questo i diritti umani diventano
diritti di serie B?... che si tollera il vuoto di coscienza collettiva,
sostenuto da un’informazione che tratta i crimini contro l’umanità alla stregua
di mali ineluttabili come gli incidenti stradali e le alluvioni?...che né le
istituzioni né le piazze fanno sentire con forza la loro voce di sdegno,
disgusto e, senza mezzi termini, di condanna non solo verbale?
Franca
Marchesi
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