mercoledì 13 giugno 2012

Was der Euro verlangt - L'Euro e le sue necessità

Grazie al mio amico Beppe Vandai - trevigliese abitante in Germania da 27 anni dove ha studiato e vi conduce affari -  ottengo la traduzione  a cura di  Fausto Romanato e Antonio Staude dell'articolo di H. Steltzner ( condirettore della Frankfurter Allgemeine Zeitung Was der Euro verlangt uscito sulla FAZ dell' 11 maggio scorso che ci fa capire come argomenta il nocciolo duro del management economico in Germania. La posizione è anche rilevante perché coincide in larga misura con quella dell'attuale governo tedesco.


Alcuni paesi  europei  hanno frainteso il significato dell’unione monetaria, probabilmente reputandola paradiso del welfare facile. Ma ciò può funzionare solo in presenza di solide finanze di stato nonché riforme strutturali. La BCE non è in grado di risolvere tali problemi, ma deve fare attenzione a non preparare il terreno alla prossima crisi.
Una crescita artificiale rispedirebbe l’Europa all’inizio della crisi, ha sostenuto la cancelliera tedesca Angela Merkel nella sua dichiarazione di governo di giovedì scorso. Nulla di più vero, come abbiamo potuto esperire nel passato. Grazie all’introduzione dell’EURO per più di 10 anni si sono avuti, di fatto, gli EURO bond. Per gli investitori tutte le obbligazioni europee risultavano essere sicure e i tassi di rendimento delle obbligazioni statali erano tutti allo stesso livello: dalla Finlandia alla Grecia. I trasgressori del debito dell’area EURO tuttavia non hanno utilizzato questi interessi insolitamente esigui per ridurre il debito pubblico, bensì per accendere ulteriori crediti; per incrementare i consumi o per finanziare progetti infrastrutturali in parte dubbi. I paesi europei fortemente indebitati si sono inoltre giocati i vantaggi dell’unione monetaria (ossia interessi bassi come in Germania) aumentando esageratamente prezzi e salari.  
La storia della finanza conosce molti esempi di recessioni pesanti dovute ad indebitamenti allegri. Le conseguenze poi per stati, imprese o privati si protraggono a lungo prima di potersi liberare dal peso di questo indebitamento eccessivo. Per anni si assiste ad una riduzione di investimenti e consumi. Gli istituti bancari concedono fidi solo con riluttanza, dapprima infatti bisogna portare in pareggio i bilanci. Anche la crisi dell’EURO porta a perdite permanenti in termini di crescita e ad una crescita piatta. A differenza di variazioni congiunturali a breve termine, al calo non segue alcuna ripresa rapida dato che le strutture gonfiate devono essere corrette (ad es. il sistema finanziario irlandese, l’economia edile della Spagna o l’amministrazione greca). Non a caso il premio Nobel James Tobin definiva un elevato indebitamento statale come “tallone d’Achille del capitalismo”.    


La Germania colleziona encomi per il grande zelo profuso, ma gode di pochi appoggi
Dato che dalle nostre parti (cioè in Germania, n.d.t.) non ci sono state esagerazioni sul fronte del mercato immobiliare e la struttura economica è stata resa concorrenziale per tempo rispetto al mercato mondiale, la Germania è uscita dalla crisi con slancio, cosa per cui viene invidiata e ammirata. Se ora il governo federale rimanda a questa esperienza e propone la stessa ricetta ai partner europei – correzione del sistema fiscale e sociale, freno all’indebitamento, innalzamento dell’età pensionabile, aumento dell’orario di lavoro a parità di salario – è palese che potrà anche collezionare “figurine premio” in sondaggi condotti in Germania, ma che difficilmente guadagnerà consensi in Europa.
Ciò dipende dagli elevati costi sociali che ora vanno pagati da quei paesi che avevano frainteso il significato dell’eurozona credendola un paradiso del welfare facile. La valvola di sfiato dall’effetto temporaneo che in passato è stata usata spesso: la svalutazione della divisa, è destinata a venir meno in un’unione monetaria caratterizzata da una perdita di competitività dovuta a prezzi e salari troppo elevati.
Le strutture vanno perciò adeguate; in un’amministrazione gonfiata vanno eliminati posti di lavoro – misura questa che fa calare i consumi e la performance economica.  I costi di tale economizzazione si avvertono immediatamente, a differenza delle riforme strutturali che agiscono invece sul lungo periodo. Riforme che tuttavia sono necessarie per una crescita economica di lunga durata. La ricetta migliore per una tale crescita consiste in una politica dell’offerta caratterizzata da mercati del lavoro e di prodotti flessibili, finalizzati infatti ad un utilizzo efficiente di lavoro, capitale (macchine, impianti) e idee. Programmi statali a sostegno della congiuntura non sono che un fuoco di paglia, come si vede in America e in Giappone. I paesi dell’eurozona, oberati da debiti, in ogni caso non potrebbero neppure permettersi tali programmi di spesa. Persino il fondo monetario internazionale che esorta volentieri gli stati a promuovere tali programmi di spesa, ammette che tali spese statali non producono molti effetti positivi: in media una spesa statale di un EURO dispiega un effetto pari a soli 50 centesimi.
Neanche la banca centrale europea è in grado di risolvere l’eurocrisi, la sua potenza di fuoco infatti non è illimitata. Grazie a una politica finanziaria estremamente lassista e ai numerosi aiuti elargiti in caso d’emergenza la BCE guadagna solo tempo per banche traballanti e paesi indebitati, ma a spese della sua propria credibilità e mettendo in pericolo il suo primo compito: vale a dire la tutela della stabilità dei prezzi. Grazie a tassi di interesse nominale tenuti bassi artificialmente mitiga non solo le difficoltà provocate dall’aggiustamento, bensì sopprime addirittura il mercato con finanziamenti a quota zero  e mantiene in vita banche zombie prive di un modello gestionale. Con i suoi interventi d’emergenza fuori dal comune la BCE deve stare attenta a non preparare il terreno alla prossima crisi.
La politica economica è fatta per metà di psicologia“, così diceva il cancelliere Ludwig Erhard, il padre del miracolo economico tedesco. “L’altra metà è fatta di una esplicita politica dell’ordine economico secondo i principi dell’economia di mercato e della concorrenza.” Della seconda parte dellenunciato a Bruxelles nessuno vuole più saperne, ma piuttosto vi si preferisce lavorare al prossimo Piano decennale, nonostante il palese insuccesso di quello precedente.
Nel suo nocciolo la crisi dell’EURO è il venire meno della fiducia e della capacità dei paesi dell’eurozona di adempire ai criteri necessari per l’unione monetaria. All’avvio dell’unione monetaria esistevano già gli eurobond e una parziale unione di trasferimento con miliardi di sovvenzioni per i paesi meridionali. Come si potrà riacquistare la fiducia istituzionalizzando tale esperimento? Per il finanziamento eurolandia ha bisogno di un mercato che esige finanze di stato consolidate e riforme strutturali. Se eurolandia non è disposta a ciò allora l’EURO non durerà nemmeno come valuta debole.
Holger Steltzener
(Traduzione dal tedesco di Fausto Romanato e Antonio Staude)

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