Alcuni paesi europei
hanno frainteso il significato dell’unione monetaria, probabilmente
reputandola paradiso del welfare facile. Ma ciò può funzionare solo in presenza
di solide finanze di stato nonché riforme strutturali. La BCE non è in grado di
risolvere tali problemi, ma deve fare attenzione a non preparare il terreno
alla prossima crisi.
Una crescita artificiale
rispedirebbe l’Europa all’inizio della crisi, ha sostenuto la cancelliera
tedesca Angela Merkel nella sua dichiarazione di governo di giovedì scorso.
Nulla di più vero, come abbiamo potuto esperire nel passato. Grazie
all’introduzione dell’EURO per più di 10 anni si sono avuti, di fatto, gli EURO
bond. Per gli investitori tutte le obbligazioni europee
risultavano essere sicure e i tassi di rendimento delle obbligazioni statali
erano tutti allo stesso livello: dalla Finlandia alla Grecia. I trasgressori
del debito dell’area EURO tuttavia non hanno utilizzato questi interessi
insolitamente esigui per ridurre il debito pubblico, bensì per accendere
ulteriori crediti; per incrementare i consumi o per finanziare progetti
infrastrutturali in parte dubbi. I paesi europei fortemente indebitati si sono
inoltre giocati i vantaggi dell’unione monetaria (ossia interessi bassi come in
Germania) aumentando esageratamente prezzi e salari.
La storia della finanza conosce
molti esempi di recessioni pesanti dovute ad indebitamenti allegri. Le
conseguenze poi per stati, imprese o privati si protraggono a lungo prima di
potersi liberare dal peso di questo indebitamento eccessivo. Per anni si
assiste ad una riduzione di investimenti e consumi. Gli istituti bancari
concedono fidi solo con riluttanza, dapprima infatti bisogna portare in
pareggio i bilanci. Anche la crisi dell’EURO porta a perdite permanenti in
termini di crescita e ad una crescita piatta. A differenza di variazioni
congiunturali a breve termine, al calo non segue alcuna ripresa rapida dato che
le strutture gonfiate devono essere corrette (ad es. il sistema finanziario
irlandese, l’economia edile della Spagna o l’amministrazione greca). Non a caso
il premio Nobel James Tobin definiva un elevato indebitamento statale come
“tallone d’Achille del capitalismo”.
La
Germania colleziona encomi per il grande zelo profuso, ma gode di pochi appoggi
Dato che dalle nostre parti (cioè in
Germania, n.d.t.) non ci sono state esagerazioni sul fronte del mercato
immobiliare e la struttura economica è stata resa concorrenziale per tempo
rispetto al mercato mondiale, la Germania è uscita dalla crisi con slancio,
cosa per cui viene invidiata e ammirata. Se ora il governo federale rimanda a
questa esperienza e propone la stessa ricetta ai partner europei – correzione
del sistema fiscale e sociale, freno all’indebitamento, innalzamento dell’età
pensionabile, aumento dell’orario di lavoro a parità di salario – è palese che
potrà anche collezionare “figurine premio” in sondaggi condotti in Germania, ma
che difficilmente guadagnerà consensi in Europa.
Ciò dipende dagli elevati costi
sociali che ora vanno pagati da quei paesi che avevano frainteso il significato
dell’eurozona credendola un paradiso del welfare facile. La valvola di sfiato
dall’effetto temporaneo che in passato è stata usata spesso: la svalutazione
della divisa, è destinata a venir meno in un’unione monetaria caratterizzata da
una perdita di competitività dovuta a prezzi e salari troppo elevati.
Le strutture vanno perciò adeguate;
in un’amministrazione gonfiata vanno eliminati posti di lavoro – misura questa
che fa calare i consumi e la performance economica. I costi di tale economizzazione si avvertono
immediatamente, a differenza delle riforme strutturali che agiscono invece sul
lungo periodo. Riforme che tuttavia sono necessarie per una crescita economica
di lunga durata. La ricetta migliore per una tale crescita consiste in una
politica dell’offerta caratterizzata da mercati del lavoro e di prodotti
flessibili, finalizzati infatti ad un utilizzo efficiente di lavoro, capitale
(macchine, impianti) e idee. Programmi statali a sostegno della congiuntura non
sono che un fuoco di paglia, come si vede in America e in Giappone. I paesi
dell’eurozona, oberati da debiti, in ogni caso non potrebbero neppure
permettersi tali programmi di spesa. Persino il fondo monetario internazionale
che esorta volentieri gli stati a promuovere tali programmi di spesa, ammette
che tali spese statali non producono molti effetti positivi: in media una spesa
statale di un EURO dispiega un effetto pari a soli 50 centesimi.
Neanche la banca centrale europea è
in grado di risolvere l’eurocrisi, la sua potenza di fuoco infatti non è
illimitata. Grazie a una politica finanziaria estremamente lassista e ai
numerosi aiuti elargiti in caso d’emergenza la BCE guadagna solo tempo per
banche traballanti e paesi indebitati, ma a spese della sua propria credibilità
e mettendo in pericolo il suo primo compito: vale a dire la tutela della
stabilità dei prezzi. Grazie a tassi di interesse nominale tenuti bassi artificialmente
mitiga non solo le difficoltà provocate dall’aggiustamento, bensì sopprime
addirittura il mercato con finanziamenti a quota zero e mantiene in vita banche zombie prive di un
modello gestionale. Con i suoi interventi d’emergenza fuori dal comune la BCE
deve stare attenta a non preparare il terreno alla prossima crisi.
“La politica
economica è fatta per metà di psicologia“, così diceva il cancelliere Ludwig
Erhard, il padre del miracolo economico tedesco. “L’altra metà è fatta di una esplicita politica dell’ordine economico
secondo i principi dell’economia di mercato e della concorrenza.” Della
seconda parte dell’enunciato a
Bruxelles nessuno vuole più saperne, ma piuttosto vi si preferisce lavorare al
prossimo Piano decennale, nonostante il palese insuccesso di quello precedente.
Nel suo nocciolo la crisi dell’EURO è il venire meno della fiducia e della capacità dei paesi dell’eurozona di adempire ai criteri necessari per l’unione monetaria. All’avvio dell’unione monetaria esistevano già gli eurobond e una parziale unione di
trasferimento con miliardi di sovvenzioni per i paesi meridionali. Come si
potrà riacquistare la fiducia istituzionalizzando tale esperimento? Per il
finanziamento eurolandia ha bisogno di un mercato che esige finanze di stato
consolidate e riforme strutturali. Se eurolandia non è disposta a ciò allora l’EURO non durerà nemmeno come valuta debole.
Holger Steltzener
(Traduzione dal
tedesco di Fausto Romanato e Antonio Staude)
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