Sia l’arresto di Domenico Zambetti, già Assessore alla Casa
Regione Lombardia che l’incredibile vicenda del già Presidente ALER di Lecco Antonio
Piazza – al centro dell’attenzione di tutti i giornali una settimana fa, il quale in un impeto di rabbia
e prepotenza buca le ruote dell’auto di un disabile (vedi dettagli qui) –, sono a mio avviso da
mettere in stretta connessione. Entrambi sono catalogabili sotto il capitolo “voto
di scambio”. Perché? Dalle intercettazioni ambientali che riguardano Zambetti
emergerebbe un presunto caso di compravendita di voti che la magistratura
giudicante accerterà. Del caso di Antonio Piazza invece, c’è solo una
intervista televisiva (non riversata in Rete) in cui l’uomo politico lecchese,
in evidente difficoltà con la lingua italiana, ammette candidamente che in quei posti (l'ALER) ci si arriva o
"per capacità o per voti": lui c'è arrivato "per voti". E
dunque? Questo signore controlla un "pacchetto di voti", e il
posto di Presidente ALER gli è stato assegnato evidentemente dall’Assessore alla Casa
Domenico Zambetti con il benestare del Presidente Regione Lombardia Roberto
Formigoni, certamente per accertata capacità manageriale, ma soprattutto, c'è da arguire, "per voti".
Il dato da cui bisogna partire e su cui forse si è sorvolato
è che se c'è qualcuno che compra voti,
ci devono essere elettori che li vendono. Questo è il fenomeno centrale da
mettere a fuoco. Le cosche mafiose calabresi o di altre mafie sono riuscite a
esportare al Nord un modello politico-imprenditoriale-mafioso che per brevità chiamiamo
“polimafia” già ampiamente collaudato al Sud e che sta soffocando o ha già soffocato di fatto la democrazia in
almeno tre ragioni italiane (Campania, Calabria, Sicilia). La polimafia gioca
su tre fronti: l’acquisizione e la gestione del consenso elettorale; la
negoziazione con il mercato politico dei voti controllati; l’ottenimento di appalti grazie al condizionamento delle
macchine amministrative o grazie al politico che è sceso a patti con il
crimine che quelle macchine dirige e controlla.
Ma questo è un aspetto del voto di scambio, quello
apertamente criminale. Ovviamente esiste questo voto di scambio criminale
perché esiste il voto di scambio tradizionale,
quello clientelare. Il voto di scambio con risvolti criminali non si sovrappone a quello di tipo tradizionale,
essendone in qualche modo una sua evoluzione diciamo così gangsteristica . In altri
termini: il voto di scambio criminale è
sicuramente voto di scambio clientelare, ma non tutto il voto di scambio
clientelare evolve in voto di scambio negoziato in ambito criminale.
Partendo dalla premessa che la politica è coniugazione di
valori e negoziazione di interessi (
bravo chi riesce a dirimere lo stretto intreccio!) ci chiediamo: come avviene,
nella fenomenologia sociale concreta, questo processo della raccolta e della
negoziazione del voto di scambio? Premesso ancora che il voto si polarizza o verso la componente ideale e valoriale o verso quella materiale e dell’interesse, si danno grosso modo due tipi di voto: quello di opinione, puro, neutrale, ideale, e quello di
scambio che può andare da quello assolutamente legittimo in cui la componente ideale è
ridotta al minimo (io in quanto aderente a una corporazione o anche facente parte un gruppo di semplici portatori di interesse, negozio
il mio interesse particulare con un politico che mi rappresenta) fino a giungere a un vero e proprio voto di scambio, in senso stretto, in cui affido
il mio consenso a un politico in cambio di promesse concrete o di favori
futuri. È inutile aggiungere che una società è tanto più libera quanto più
esprime voti di opinione (sempre negoziabili e sempre ritirabili essendo non vincolati né il votante né il votato) mentre una società è sempre più condizionata quanto
più esprime voti di scambio (che incardinano il votante e il votato in un
rapporto reciprocamente vincolante di clientela in cui solitamente prevale un
interesse particolare e immediato di un gruppo ristretto).
Orbene, ho avuto modo di conoscere Antonio Piazza durante il mio biennale soggiorno lavorativo
lecchese e di frequentarlo con una certa assiduità fino al punto di poter
acquisire delle informazioni dirette e di tipo ambientale che non ho difficoltà
a rendere pubbliche in quanto del tutto prive di particolari risvolti
confidenziali né tanto meno passibili di censure per quel che concerne il
profilo della privacy essendo su tutti i giornali, ove si tenga presente tuttavia
che tutte le considerazioni di carattere
sociologico che svolgerò sono frutto di deduzioni ed elaborazione assolutamente
personali. Ad esempio non è
difficile in base a delle semplici considerazioni anche ricognitive dell’apparato locutivo del politico lecchese affermare che non è un portatore delle istanze tipiche del voto di opinione (per difendere le quali bisogna quanto meno
saperle articolare in una eloquio ipotattico, ossia capace di incardinare
sintatticamente principali e subordinate, cosa che nel nostro caso non ritorna
da una semplice ricognizione acustica).
Antonio Piazza è nativo di
Milena, (vedi la sua biografia de
Il Giorno, qui) comune della provincia di Caltanissetta che un tempo si chiamava Milocca
(così è citato in alcune novelle di Pirandello). Da circa un quindicennio si è trasferito a Valmadrera (LC) dove c’è un forte insediamento di milenesi, come per altro verso ce n’è uno
altrettanto folto ad Asti (vedi il libro di Giuseppe Virciglio, Milocca
al Nord: una comunità di immigrati siciliani ad Asti , Franco Angeli,
Milano 1991).
Milena-Milocca è stato un paese per altro verso oggetto di una
indagine etno-antropologica a cura di Charlotte
Gower Chapman, Milocca a sicilian village, pagg. 256 - Ed. 1973 (in lingua inglese), la
quale Charlotte Gower, dopo aver
trascorso un anno (1928) tra i siciliani nella comunità di Chicago, continua i
suoi studi etnici ed antropologici per 18 mesi nel villaggio di Milocca (ora
Milena), in Provincia di Caltanissetta, a seguito di incarico ricevuto
dall'University of Chicago. Nella sede di origine degli immigrati d'America,
l'autrice è a diretto contatto con la mentalità dei siciliani, con le
abitudini, le tradizioni, i matrimoni, gli aspetti della vita familiare, i
sentimenti religiosi etc. Lo studio su Milocca, scritto in lingua inglese, è
un'eccellente monografia della cultura siciliana. Il libro viene adottato in
molte università estere, quale testo importante di antropologia. (cito da questo sito).
Il libro della Gower Chapman anticipa, nel metodo di
indagine se non nei risultati, quel
celebre studio di Edward C. Banfield sul
familismo amorale (Edward
C. Banfield – Le basi morali di una società arretrata – , Il
mulino, Bologna 2008, titolo originale A
moral basis of a backward society) che da allora diventerà
capitale per chiunque voglia intraprendere studi sul sostrato mentale-culturale
di una specifica popolazione. Questi tipi di studi partono da indagini sul
campo e si avvantaggiano del metodo della cosiddetta “osservazione partecipata”, cioè l’osservazione diretta dei costumi
di una determinata popolazione in un determinato contesto sociale.
Eduard C.Banfield |
Ora, ipotizziamo che la Gower Chapman o Eduard Banfield
facciano un sopralluogo a Valmadrera a studiare la comunità di siciliani ivi
emigrati, o meglio, che vengano nel nostro
comune di Cassina de’ Pecchi per meglio essere più chiari. Vi troveranno gruppi
di immigrati omogenei dal punto di vista mentale-culturale (istruzione, acculturazione, inclinazioni comportamentali) sostenuti dal principio del familismo amorale che
secondo la celebre formulazione di Banfield suona così: ognuno agisce nella sfera sociale cercando
di « massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare,
supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo». In altri termini
il familista amorale secondo Banfield sviluppa comportamenti non community oriented,
ha sfiducia verso la collettività e non è disposto a cooperare con gli altri se
non in vista di un proprio tornaconto. Il contrario del familismo amorale è, giova dirlo, la civcness,
il senso civico, ossia avere orizzonti collettivi proiettati oltre il bene
individuale o della propria famiglia.
Più interessanti sono i corollari ricavati da Banfield dalla legge generale del “familismo amorale” e
che tornano al caso nostro. Essi sono il punto 12. Il familista amorale si serve
del voto per ottenere il maggior vantaggio a breve scadenza. Per quanto egli
possa avere idee ben chiare su quelli che sono i suoi interessi a lunga
scadenza, i suoi interessi di classe, o anche l'interesse pubblico, questi fattori
non influiscono sul voto, se gli interessi immediati della famiglia
sono in qualche modo coinvolti.
Il punto 14. In una società di familisti amorali
l'elettore ha poca fiducia nelle promesse che gli vengono fatte dai partiti.
Egli dà il voto in cambio di benefici già ricevuti (nell'ipotesi,
naturalmente, che esista la prospettiva di riceverne altri per il
futuro) piuttosto che per vantaggi promessi.
Dalla rete: una significativa elaborazione del carattere morale del magistrato inquirente Ilda Boccassini |
Il punto 16,
invece pecca di notevole ingenuità e chiede di essere aggiornato alla luce
delle inchieste che stanno riguardando tutti i fenomeni del voto di scambio. Esso
recita: Sebbene gli elettori siano disposti a vendere i voti, in una
società di familisti amorali non esisterà una stabile e solida macchina
politica, per tre motivi: a) essendo la votazione segreta, non c'è modo
di controllare se chi è stato pagato per votare in un certo modo lo faccia poi
effettivamente [ipotesi non vera: alcune inchieste ai tempi delle
preferenze hanno dimostrato il contrario. Ndr]; b) un'organizzazione di
questo tipo non offre sufficienti vantaggi immediati perché qualcuno impegni in
essa energie e capitali; c) come abbiamo spiegato sopra, in ogni caso è
difficile dare vita e mantenere organizzazioni formali di qualsiasi tipo. [Quest’ultimo
punto sembrerebbe anch’esso sconfessato dalle indagini recenti della
Procuratrice aggiunta Ilda Boccassini].
Ora,
appare evidente che se io sono in grado di dialogare, seppur nel tipico spazio politico della
negoziazione degli interessi, con una folta comunità omogenea di paesani, riesco già a
controllare, facendo leva sul familismo amorale, un pacchetto di voti di cento famiglie
che moltiplicato per una media di tre-quattro componenti (famiglia numerosa o patriarcale
allargata) fa tre-quattrocento consensi. Con questo semplice mezzo
della comunicazione interfamiliare (altro che volantini e blog, caro Roberto!) io mi sono fatto già un pacchetto di voti che posso negoziare in qualsiasi momento.
Cosa mi chiedono i miei elettori? Non diritti ma favori, o meglio favori che travolgano i diritti altrui, favori che bordeggino le regole o le infrangano addirittura. Da questa semplice base elettorale la successiva elezione corredata da incarichi (saranno prescelti quelli relativi ai bisogni primari: la casa, l'urbanistica, l’assistenza, i servizi sociali) può e solitamente lo fa, allargare la mia base elettorale al di là del nucleo familista originario. Insomma sono diventato una potenza elettorale cui nessun politico (anch'esso amorale, anzi immorale) può fare a meno, perché non è con le opinioni che si raccolgono i consensi ma con i voti sonanti, e i voti come il denaro non puzzano (pecunia non olet).
Cosa mi chiedono i miei elettori? Non diritti ma favori, o meglio favori che travolgano i diritti altrui, favori che bordeggino le regole o le infrangano addirittura. Da questa semplice base elettorale la successiva elezione corredata da incarichi (saranno prescelti quelli relativi ai bisogni primari: la casa, l'urbanistica, l’assistenza, i servizi sociali) può e solitamente lo fa, allargare la mia base elettorale al di là del nucleo familista originario. Insomma sono diventato una potenza elettorale cui nessun politico (anch'esso amorale, anzi immorale) può fare a meno, perché non è con le opinioni che si raccolgono i consensi ma con i voti sonanti, e i voti come il denaro non puzzano (pecunia non olet).
Da qui il salto successivo alla negoziazione in
ambito criminale il passo è breve, ma qui il vostro sociologo improvvisato lascia
la penna ai magistrati.
Alfio Squillaci
Penso che votare chi rispecchia le mie opinioni o chi rappresenta i miei interessi corporativi, professionali o, come si sarebbe detto una volta, di classe, di ceto sociale e di estrazione culturale, non è voto di scambio. Come si insegna ai bambini a non accettare mai le caramelle da sconosciuti, i cittadini e ancor più i politici dovrebbero aver imparato a non accettare mai favori da nessuno: dal favore alla richiesta di scambio il passo è breve e, va da sè, da lì al ricatto malavitoso è brevissimo...patetico e inutile farsi venire gli scrupoli a posteriori (come la Lega!). Franca
RispondiEliminaInfatti distinguo tra il voto "di scambio che può andare da quello assolutamente legittimo in cui la componente ideale è ridotta al minimo (io in quanto aderente a una corporazione o anche facente parte un gruppo di semplici portatori di interesse, negozio il mio interesse particulare con un politico che mi rappresenta) fino a giungere a un vero e proprio voto di scambio, in senso stretto, in cui affido il mio consenso a un politico in cambio di promesse concrete o di favori futuri". Ammetto che è difficile distinguere il voto di scambio in base a un interesse corporativo da quello di tipo familistico e clientelare da un punto di vista scientifico o di studio. Esso avviene per slittamenti progressivi impercettibili...ma un politico dovrebbe ormai avere i sensori per capire qual è il limite, non attendere le inchieste giudiziarie.
EliminaMa quali sensori! E' il fruscio del denaro il rumore di fondo e non servono certo i sensori per riconoscerlo.
EliminaIl problema del voto di scambio si risolve facilmente e in due modi:
RispondiElimina1) Dall'alto, abolendo le preferenze. Vi sembra possibile che in una regione con 10.000.000 di abitanti si sia eletti con 11.000 voti? In tutte le elezioni che non siano quelle comunali bisogna avere collegi uninominali e elezioni con il doppio turno. Chi dice che le preferenze servono ai cittadini per sciegliere i candidati mente, le preferenze servono i gruppi di potere per eleggere i loro uomini.
2) Dal basso, scrivendo sempre la preferenza anche quando non si conosce nessuno dei candidati. Cosi' facendo, con centinaia di migliaia di voti di preferenza, i 4000 voti della 'ndrangheta non serviranno a nessuno.
La prima ipotesi mi sembra imperativa, la seconda più difficile da realizzare. A chi parla di "preferenze" come strumento democratico controbatto che non ce le possiamo permettere. E ricordo il film di Daniele Luchetti "Il portaborse" (1993), interpretato superbamente da Nanni Moretti.
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