giovedì 25 ottobre 2012

La scuola che non c’è

Si chiama "Porta a scuola i tuoi sogni” e rappresenta la nuova iniziativa del MIUR finalizzata a creare uno spazio virtuale di comunicazione con insegnanti, studenti e tutti coloro che sono coinvolti nel mondo della scuola pubblica. Così si legge nella home del blog del Ministero dell’Istruzione: «Da oggi parte la campagna #portaascuolaituoisogni. Immagini, testi, foto, citazioni e video: questo è uno spazio aperto a studenti, insegnanti e a tutto il personale, per raccontare le suggestioni sulla scuola... Uno spazio per le idee e, perché no, per i sogni».


 Un’ iniziativa potenzialmente lodevole e significativa è stata però subito attaccata per il mancato rispetto della realtà in cui vivono gli studenti italiani. La realizzazione pratica dello spot di apertura è stata infatti affidata ad un curatore ( il giornalista Riccardo Luna ) che ha scelto autonomamente luoghi, colonna sonora e persone, compresa la partecipazione di Roberto Vecchioni.  Chiunque può notare come il filmato, diffuso dal MIUR e visibile sul sito, abbia un che di eccessivamente patinato e dia un’immagine falsata della scuola pubblica: a fare da sfondo, o da pulpito, sono in realtà  gli ambienti della Deutsche Schule Mailand (nella foto), la scuola tedesca di Milano, ovviamente privata ( retta per i frequentanti 5400 euro). La produzione ha sbagliato a scegliere la location?  Non sembra, stando alle precisazioni del Ministero e agli interventi del  giornalista Riccardo Luna, ideatore della campagna, che definiscono le critiche “ prive di fondamento”. E’ stato infatti  precisato che “il video racconta la scuola italiana nel suo complesso che, per legge, è composta da scuola pubblica e dalla privata parificata, tanto che è cambiato il nome stesso del ministero che non si chiama più pubblica istruzione, ma dell'istruzione” (sic!). Secondo il curatore dello spot  poi la scelta sarebbe caduta sulla scuola Mailand perché “la produzione aveva bisogno di una location su Milano, aperta tutto il sabato e con la luce adatta a fare le riprese in un unico giorno”.


 Diverso, ma comunque sibillino,  il commento di Francesca Puglisi (PD): “Facciamo finta di non aver visto il comunicato del Miur che, tentando di mettere una toppa sulla vicenda dello spot ministeriale, ne allarga il buco… È pubblica per la legge di parità la scuola statale e paritaria. E sono considerate paritarie le scuole comunali e private che svolgono un servizio di utilità pubblica. Quelle soltanto”.


 Intanto, in apertura, la voce suadente del cantautore recita: “Quando studiavo io c'erano i libri di carta e le lavagne con il gesso,(ora non c’è neppure la carta igienica, viene la battuta…)  ora libri elettronici e lavagne digitali. Quello che non è mai cambiato è il valore dello studio…”.   Quando c’erano i libri di carta ( per fortuna ci sono ancora!), statale e pubblico erano termini coincidenti: entrambi indicavano ciò che è di tutti, quindi un diritto per ciascuno, gratuito ed equamente distribuito.


Dopo i ministeri Moratti e Gelmini che hanno cambiato l’intero  vocabolario per parlare della scuola e dei suoi  ordini e gradi, dopo i tagli all’istruzione venduti come riforma della scuola, abbiamo infine  bisogno di rifugiarci nei sogni fantascientifico-tecnologici per rilanciare lo studio? Aiuta forse a prendere coscienza della realtà, con i suoi punti di forza e quelli di debolezza? Il rispetto e la valorizzazione dello studio da quale attenzione alla scuola può nascere? Forse da un prodotto fasullo come il filmato in questione? Quali studenti possono uscire da simili aule? Lo studente “al centro”, come persona, o “lo studente assente”, dove i valori sono il prestigio e gli abbagli delle nuove tecnologie? Queste ultime sono strumenti, utilissimi mezzi o feticci, ritenuti in grado di cambiare di per sé la vita, le menti e le identità?


Dopo vent’anni in cui bidonare la massa illusa è stato lo sport estremo più praticato dalla politica, abbiamo tutti diritto a un po’ più di trasparenza e di consapevolezza, di concretezza e di una comunicazione meno “onirica”.


                                                                                                                                                                             Franca

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