" Sono convinto che il il mio ruolo di pubblico ministero antimafia sarebbe monco ed effimero se si limitasse agli atti giudiziari. Di fronte a un fenomeno sistemico come la criminalità mafiosa che ha sempre contaminato la società e la politica, penso che sia giusto e persino necessario svolgere un ruolo di attore sociale e anche politico".
In questo passo, nella intervista rilasciata al "Corriere" di oggi, si condensa tutto il pensiero del PM Ingroia circa la propria funzione di magistrato che tante polemiche ha destato negli ultimi tempi.
Io dissento totalmente da questo punto di vista. Il Magistrato si esprima per atti innanzi tutto; se questi atti superano il dibattimento (la verità o è nel processo o non è, in uno stato di diritto) essi di per se stessi, in quanto atti che hanno superato un processo, acquistano immediatamente un ruolo sociale e politico. Gli atti parlino, non il magistrato che li ha prodotti (com'è vero che i sacramenti restano sacramenti indipendentemente dall'Ordinante che li amministra). Il magistrato non può avere alcun ruolo sociale e politico prima del processo o fuori dal processo.
L'intervista è poi lardellata di riferimenti a Falcone e Borsellino, di cui a ogni istante si rivendica l'eredità al solo scopo di rafforzare, scorrettamente dico io, la propria argomentazione. Peccato che Falcone e Borsellino siano morti e non possano esprimere il loro punto di vista sul punto di vista del PM Ingroia.
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