Lev Tolstoj in una foto da giovane |
Ci sono due modi di narrare. Uno che chiamo la “via all’insù”, dove c’è un io che si narra e attraverso di esso tenta di rendere universale la propria esperienza, di farci intravedere il mondo; e c’è anche una “via all’ingiù” dove il narratore narra, affronta una tematica universale (l’amore, la guerra, il lavoro ecc) tentando di far filtrare attraverso di essa il proprio io. Una scrittura in soggettiva e una scrittura oggettiva. Nella prima, il mondo è visto attraverso il prisma dell’io, nell’altra l’io è annegato nel mondo. Nella prima il narratore è in primo piano, nella seconda vi agisce come un "deus absconditus", e solo dopo molte informazioni il lettore capisce che, solo per fare un esempio, dietro Nekliudov, Bezukov, Levin c’è Tolstoj. La via all’insù è minoritaria nonostante che sia quella scelta dalla gente comune (il diario di facebook ne è una moltiplicazione planetaria) ma ha esempi illustri: Agostino, Montaigne, Rousseau. Alcuni dicono che l’attitudine alla “Confessione”, al diario, a mettere il proprio cuore a nudo (espressione di Baudelaire: “mon coeur mis à nu”) sia frutto del soggettivismo cristiano, dell’”invenzione” della persona, ma io ricordo Marco Aurelio e i suoi “Ricordi” (Τὰ εἰς ἑαυτόν, santa Wikipedia!) per chiudere ogni discussione confessionale sul tema. Io preferisco di gran lunga la via all’ingiù. All’io-persona antepongo l’io-personaggio. Dico a chi scrive: narra una storia oggettivamente, affronta anche criticamente (nel senso della redazione di un saggio di critica letteraria) un tema e fai luccicare il tuo io. Nascondilo in essa, scendi dall’universale al particolare al fine che chi legge scopra se stesso in te e te in se stesso senza saperlo.
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